martedì 28 febbraio 2012

Mezzanotte nel giardino di Woody

Mi ci è voluta una seconda visione per amare Midnight in Paris. Reduce dalla Notte degli Oscar con un premio alla miglior sceneggiatura originale (magra consolazione), l'opera di Woody Allen ispira una rassegna allo Spazio Oberdan di Milano che, attraverso un ciclo di pellicole ad hoc, riprende temi, suggestioni, personaggi presenti nella pellicola. Midnight in Oberdan (dal 29 febbraio al 4 marzo) ha come fiore all'occhiello (a mio modestissimo avviso) la proiezione di Un Chien andalou di Luis Buñuel, celebre per l'immagine dell'occhio femminile squarciato da una lama di rasoio (brividi!).

Preceduto da Entr'acte di René Clair, film muto manifesto del cinema surreal-dadaista (un'altra chicca), Un Chien andalou non è l'unico titolo di Buñuel presente in rassegna, che conta anche su L'Age d'Or. Interessante poi la proiezione de Il grande Gatsby del 1974 (con Robert Redford e Mia Farrow) e il più recente Coco Avant Chanel, non proprio un capolavoro ma notevole per i costumi. Da confermare, ma assai probabile, la proiezione per domenica 4 marzo alle ore 17 di Midnight di Paris. E ora, qualche mia riflessione (vi tocca).

Owen Wilson e Marion Cotillard a passeggio
sul lungosenna nel film di Woody Allen


Midnight in Paris mi era parso al principio una facile favoletta con poche pretese e troppi "allenismi" (i tic del protagonista, la cafonaggine di certa borghesia americana, il rifugio nel passato) e tanti grandi degli Anni Venti ridotti a macchietta. Un paio di settimane fa invece mi sono dovuta ricredere. L'incontro del protagonista con gli idoli della sua vita, Hemingway, Dalì, Picasso e molti altri, è forse quello vagheggiato dallo stesso Allen e da molti altri con lui. Chi di noi non ha idealizzato un'epoca del passato, chi non sogna di vivere in una cerchia di amici che conta Francis Scott Fitzgerald?! È scontato affrontare l'argomento? No, è legittimo: tanto più se mettendo in mostra questa vicenda il regista dice a noi spettatori che a nulla serve il rifugio nel passato se non a trarre linfa vitale per il nostro spirito attuale. 

La bellezza è ciò che qualcuno ha già realizzato: un libro, una fotografia, un film, un fiore. La bellezza è inevitabilmente il frutto del passato. Se attinge dalla bellezza "passata" il nostro presente non può che essere migliore, tornando però ad agire nel proprio tempo, senza crogiolarsi sterilmente in ciò che è stato. Dalle sue incursioni negli Anni Venti, il protagonista del film di Woody Allen torna diverso, migliore: molla la fidanzata oca ma non fugge con Marion Cotillard nel 1920, sceglierà una donna del suo presente. Gertrude Stein (Katy Bates) ricorda al personaggio di Gil, il perfetto flâneur protagnosita, che:

"l'artista non deve arrendersi alla disperazione della vita,
ma deve trovare un antidoto alla futilità dell'esitenza". 

Io una cosa così positiva - recitata senza un velo di sarcasmo -  non l'ho mai sentita in nessun film di Woody Allen.

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