martedì 29 maggio 2012

Funziona ancora, oggi, la Catarsi?

Stamattina, per ben due volte, anche noi milanesi abbiamo tremato. Forte. È inutile ripetere quello che è successo: le scosse sismiche che hanno colpito Modena e l'Emilia, i morti, la distruzione, il dolore. Tutti ormai sanno. Perché l'hanno vissuto questo terremoto, o perché l'hanno visto in tv o hanno letto gli aggiornamenti di status degli amici su Facebook o Twitter. Al lavoro ci sono state prima le canoniche evacuazioni dagli uffici (mal condotte, anche questo come da copione, ma vabbè), poi tutti si sono attaccati a internet per sapere di più, sui mezzi pubblici la gente parlava attaccata ai telefoni: "E tu l’hai sentito? E dov’eri? E che stavi facendo?". Un tamtam più che legittimo, umano. Mi sono chiesta che cos'è che ci ammalia del terremoto, che ci attira e ci fa sentire come dentro a stanza impregnata da un aroma intenso, nauseante eppur magnetico. Certo, c'è la potenza del richiamo della terra, e la minuscola è proprio d’obbligo, perché parliamo della cosa più scontata che c'è: la terra sotto i piedi. Che ruggisce e noi, spaventati, lì ad ascoltarla. Spaventati e attratti. Da dove vengono queste sensazioni? E perché appena arriva una scossa stiamo lì a scrivere su Facebook Terremoto!, Stavolta è bella forte, trema tutto! quando, insomma, è evidente che sta tremando tutto (nessun biasimo tra le righe, anch'io ho scritto queste cose stamattina)? Cos'è questa voglia che ci piglia di twittare a tutto spiano, di cercare immagini e racconti online, ascoltare le testimonianze in tv? L'accanimento al dramma ha a che vedere con quel vecchio affare della Tragedia, della catarsi, mi sono detta. E poi ho cercato di approfondire.

E cercando qua e là grazie al web, ho trovato un saggio sulla tragedia classica che cita Sartre e Freud. Aristotele ci dice che "la narrazione (della Tragedia intende) per mezzo di pietà e paura porta a compimento la depurazione (katharsis) di siffatte emozioni". Ora: il terremoto è reale, la Tragedia è la sua narrazione, fatta dalla tv per esempio, in attesa che venga creato un film o che gli eventi finiscano in un libro o dentro a un articolo. La Tragedia del terremoto è anche quella scritta dal popolo dei social network, credo.



Pietà e paura. Leggo il parere condivisibile di I.A. Richards: "La catarsi tragica nasce da una opposizione: la Pietà, cioè l’impulso a partecipare, e il Terrore, ovvero l’impulso ad allontanarsi, trovano nella tragedia una conciliazione che non è loro altrimenti consentita”.  Paura e pietà trovano sfogo su Facebook, ed è naturale condividere questi sentimenti realmente o virtualmente, proprio per compiere la nostra personale catarsi.  Ma voglio tornare ancora proprio alla parola catarsi usata da Aristotele. Oggi non se ne coglie ancora il pieno significato, gli studiosi si soffermano ancora sulle sue sfumature. Leggo che la catarsi ha la funzione di illuminare, di chiarire, di comprendere ciò che agita i nostri animi. Il suo fine ultimo è liberare l'uomo dalla furia cieca delle passioni permettendogli di agire con lucidità, di passare ai provvedimenti ecco. Sartre crede che pietà e terrore stimolino lo spettatore della Tragedia a prendere "decisioni sociali significative, che vanno dalla solidarietà individuale alla rivoluzione". Hai detto niente? Per Sartre la catarsi è composta da due fasi: "la purificazione immediata o personale e la purificazione sociale". E questo è il punto. Siamo sicuri che assistere alla Tragedia permetta ancora oggi una purificazione sociale, una rivoluzione, addirittura?Non è che in fondo ci crogioliamo nella pietà e nel terrore finché non mettiamo in atto la nostra purificazione personale e poi, quando si tratta di purificazione sociale, ci fermiamo? Si può interpretare la richiesta collettiva degli utenti di Facebook di dirottare i fondi della parata militare del 2 giugno alle zone terremotate come una decisione sociale significativa?

La Tragedia dell'Abruzzo – solo per citare l'evento sismico più vicino in ordine di tempo – avrebbe dovuto innescare una serie di disposizioni per tutelare persone e patrimoni. Che misure adottano oggi i nostri comuni, le amministrazioni dei paesi in cui viviamo ogni giorno, contro i pericoli delle scosse telluriche? C’è un censimento degli edifici più a rischio? Ci sono dei controlli sulle scuole, sugli stabilimenti industriali, sulle strutture destinate ad accogliere un grande numero di persone? Sono domande un po’ polemiche e un po’ spontanee: io, da cittadino qualunque, mi faccio queste seghe mentali e posso pensare che forse stia esagerando, ma poi in tv gli esperti scuotono la testa e si domandano - proprio come me – come sia possibile che dopo L'Aquila si rivedano certi tristi scenari. Allora, forse non penso poi tanto male. Purtroppo.

Quanti Duomi di Mirandola devono venire giù, quanti operai devono lasciare la pelle in un capannone per un terremoto (tornato, spudoratamente, sul luogo del delitto a cadavere ancora caldo, a nove giorni di distanza da un precedente micidiale sisma) prima che cambi qualcosa, prima che avvenga davvero una decisione sociale significativa?

P.S. Questi sono i miei pensieri legati al terremoto di oggi ma se volete leggere qualcosa di veramente significativo, vi rimando a un vecchio articolo di Toni Capuozzo, un racconto umano che, a leggerlo, sembra di sentirlo con la voce del suo autore. Ed emoziona ancora di più.

mercoledì 23 maggio 2012

La domenica a spasso a Milano col naso all'insù

Milano è bella. E già questa affermazione fa scandalo. Io vi invito a lunghe passeggiate nelle vie parallele a quelle del centro, oppure nelle zone più decentrate, magari in orari insoliti o nei momenti in cui i milanesi se ne vanno in massa nella loro casetta al mare o in montagna, per scoprire aspetti di questa città che non pensavate. Milano è bella (anche se ti fa incavolare) e il perché ve lo racconta nel dettaglio l'Ordine degli Architetti meneghino, con dei percorsi storico-stilistici, visite guidate insomma, che si tengono a giugno e - insieme a Touring Club Italiano e Comune di Milano, per l'iniziativa DomenicASpasso - anche il prossimo 27 maggio: data di una nuova domenica a piedi per i cittadini, un'occasione da sfruttare invece di borbottare che non si può andare in centro in auto (ma chi ci va ancora?) e che per colpa di queste idee balzane i negozi chiudono (sempre a piangere 'sti commercianti, ma questo è un capitolo a parte...).

Milano, in una fotografia realizzata da Stefano Molaschi

E insomma, dicevamo: gli itinerari architettonici a Milano di domenica 27 maggio.
Primo: scegliere l'orario. Si parte alle 10.30, alle 14.30 o alle 16.30 (il tour dura circa un'ora).
Secondo: si seleziona il percorso preferito (e li vediamo dopo).
Terzo: ci si piazza davanti a uno dei chioschi appositamente allestiti (maggiori info qui) per iscriversi alla visita guidata, che è del tutto gratuita.
Ultimo ma non ultimo: gambe in spalla e... Enjoy Milan!

Gli itinerari sono tre. C'è La Milano di vetro in cui si scoprono le tappe della ricostruzione post-bellica della città, con gli edifici in cui l'impiego del vetro ha assunto un'importanza fondamentale e ha segnato una svolta stilistica e tecnologica. Si passa a "salutare" la Sede Montedoria di Gio Ponti e Antonio Fornaroli, immancabile il Grattacielo Pirelli e la (attualissima!) Torre Galfa di Melchiorre Bega. Si parte dal numero 42 di C.so Buenos Aires.

La Torre Galfa in un'immagine dell'Archivio Alinari

Chi preferisce conoscere gli esempi architettonici del razionalismo lombrado, le realizzazioni degli anni '50 e '60, farà bene a optare per l'opzione Il professionismo colto nel dopoguerra. Partenza da piazza Cavour. Il condominio milanese è invece un percorso ritagliato sull'elemento del condominio, un tema architettonico decisamente ricco di interpretazioni, nel caso milanese Si fa tappa a Domus Carola, Domus Fausta, Domus Julia (in via De Togni 21, 23 e 25): tre case distinte e di colore diverso, quella verde è la Julia, la rossa è la Carola, la gialla è la Fausta. Poi si passa a casa di Caccia Dominioni e al Condominio XXI Aprile. Punto di ritrovo è piazza San Vittore.

Le tre Domus, in via De Togni 21 (e 23 e 25)

martedì 22 maggio 2012

Daniel Buren. Una bandiera a strisce e strisce

Nell'arte contemporanea non sono molti gli artisti che hanno saputo trovare un loro tratto distintivo, un motivo peculiare, quasi ossessivo, a cui sono rimasti fedeli nel tempo. Diciamo dal 1967 ad oggi. Quello è l'anno in cui il francese Daniel Buren si è appropriato delle righe e le ha fatte diventare il suo "utensile visivo", per usare le sue parole. Davanti alle sue opere sono scettica, una mia cara amica invece le adora, ne è divertita e davanti al mio scetticismo ha reagito a suo modo: "Ma come? Non ti fanno venire in mente le cannucce del succo Billy?!". Così oggi ho letto questa notizia e ho pensato alla mia amica, alle cannucce del succo Billy e alla bandiera a strisce e strisce con cui il Signor Buren porta avanti il suo lavoro nell'arte.
Il set Daniel Buren per Illy
 La notizia, frivola, è il set di tazze da caffè che Buren ha decorato per Illy che, si sa, periodicamente fa firmare una linea all'artista del momento. Mi aspettavo un risultato più impattante e invece Buren ha giocato d'astuzia. Le righe ci sono ma non in un'evidenza sfacciata. Il set è da quattro: le tazzine sono completamente nere e poggiano su un piattino con una striscia nera al centro, su fondo bianco. Il diametro dei piatti è differente, si allarga dal più piccolo al più grande. La superficie nascosta di ciascun piattino è colorata con tinte diverse così che sulla tavola si crei un riflesso dalle tonalità rosa, blu, verdi, arancio. Daniel Buren ha realizzato sempre (o quasi) delle opere site specific e questo set in qualche modo non fa eccezione perché è stato creato pensando alla tavola, all'effetto ottico provocato dall'allineamento delle tazzine su una superficie e ai possibili riverberi colorati. È il caso di dire che Illy e Daniel Buren hanno realizzato un'opera d'arte a uso domestico ( in vendita online a 160 Euro).
Effetti ottici alla Buren

La collaborazione tra l'artista e l'azienda triestina è alla seconda tappa, dopo la partnership della mostra al Palais de Tokyo di Parigi nel 2004, e avviene in occasione di Monumenta 2012 dove Daniel Buren ha occupato gli spazi del Grand Palais (sempre a Parigi) per una mostra che promette più di qualche emozione. Perché tanto attaccamento alle bande colorate? Ho trovato un'intervista a Buren in cui l'artista spiega:

"Si tratta di un segno visivo semplice ma distintivo: un motivo a bande verticali di 8,7 centimetri di larghezza, dove il bianco si alterna ad altri colori. In effetti è sempre lo stesso, assolutamente immutabile da quarantatré anni. La sola cosa che non cambia è la misura delle righe, mentre tutto il resto, dalle idee ai materiali utilizzati, cambia costantemente, in funzione dell’obiettivo,
dei tempi e del luogo".


Esempio di "affichage sauvage"
di Daniel Buren. 1968
"Le righe sono l’esito di un processo naturale iniziato verso il 1964, quando dipingevo opere astratte caratterizzate da larghe strisce verticali. Nell’autunno del 1965, su un mercatino di Parigi, trovai per caso del cotone a righe, quello usato per fare cuscini e materassi, simile ai tendoni delle terrazze di caffè e ristoranti. Fui immediatamente attratto da quel materiale, forse perché somigliava ai quadri che stavo realizzando da oltre un anno.  E, dato che quelle righe erano migliori delle mie, comprai molti metri di tessuto - la larghezza delle righe era appunto di 8,7 centimetri - e cominciai a lavorarci. Attenzione, però, a non confondere il tessuto con il ready-made, perché, almeno fino al 1967, sul tessuto c’era sempre la pittura. Dal 1967 ho fatto arretrare la pittura, ed è subentrato un utilizzo più concettuale e più astratto della sequenza bianco-colore-bianco-colore. Fu solo allora che pensai per la prima volta alla relazione delle mie opere con l’architettura e con lo spazio.  E’ stata per me una riflessione cruciale, una scelta che non ho più abbandonato. Le righe - come ho detto - sono divenute un modello, uno strumento estetico che si piega a migliaia di possibilità".



Infine un sentito, doveroso, omaggio al succo d'arancia Billy.

Lizzie The Queen

Prima ancora che per i Giochi Olimpici, nel Regno Unito scatta il countdown per ben altro evento: il Giubileo di Diamante di Elisabetta II. Forse noi del continente sorridiamo dinanzi a tanta trepidazione inglese per la vecchia - seppur regale - babbiona, ammetto che ho sorriso, di quei sorrisi leggeri che fanno bene, quando poco fa ho aperto la mia casella di posta, trovandoci un'email di Whitbread Wilkinson (come fanno ad avere il mio indirizzo?!) che annuncia gaudium magnum la vendita della loro nuovissima, specialissima Jubilee Mug ... un'edizione limitata, disponibile a soli 20£!

La Jubilee Mug in vendita su
www.w2products.com

Io, che modestamente sono la Regina del Paciam' (l'equivalente dialettale milanese del termine "cianfrusaglia") ne sono stata subito attratta. Si poteva fare sicuramente di meglio, il kitsch ha del resto frontiere sconfinate e vergini, ma questa tazza mi ha conquistato. Se non altro per la corona dorata che ne orla il bordo che mi fa domandare: come diavolo si riesce a bere il sacrosanto tè?! Non ci dormirò la notte...

Queste, per esempio, sono solo
alcune timide esplorazioni nel kitsch...

I miei omaggi dunque alla vegliarda per i suoi 60 anni di regno durante i quali ha saputo , tutto sommato, gestire la sua immagine, in qualche modo immutata nel tempo. I tailleurini color pastello, le mise sempre demodè: mai contemporanea rispetto a un momento storico, ma sempre avulsa dal contesto, questa regina. Un po' come gli abiti di scena di Beatiful: i personaggi lavorano per una casa di moda ma indossano vestiti sempre fuori moda, così se la puntata 12463 va in onda nel 1999 in Spagna e poi nel 2013 in Bielorussia, nessuno si accorgerà del gap temporale.


Queen Elizabeth II, 1985
Non una strenua sostenitrice del "Less is more"

E poi, per tornare a noi, Elisabetta è scampata all'affaire Diana, ai film pseudo biografici (alcuni, forse l'unico, splendidi, come The Queen), al gossip inglese. Insomma, invecchiando è migliorata. O forse è sempre stata vecchia e siamo noi che, invecchiando, siamo più inclini al perdono.

La Sovrana in uno scatto di Annie Leibovitz

mercoledì 16 maggio 2012

Più Cannes per tutti

Dal 16 al 27 maggio dire Cinema significa dire Cannes, che quest'anno spegne 65 candeline. A soffiarci sopra è niente meno che Marilyn Monroe: la diva campeggia infatti sullo splendido poster della kermesse, un omaggio nell'anniversario della sua morte, avvenuta 50 anni fa (a proposito: il primo giugno esce finalmente in Italia My week woth Marilyn, con Michelle Williams). L'Italia presenzia sulla Croisette con Nanni Moretti (Presidente di Giuria piuttosto burbero, come suo solito) e con il film di Matteo Garrone (Gomorra) in concorso, Reality. Tutti i film in rassegna, in gara e fuori gara, li trovate qui, io mi limiterò a mostrarvi il manifesto dell'edizione 2012 e quello dell'anno passato, la cui eleganza impeccabile e invidiabile mi ha fatto gridare "Je veux être Faye Dunaway!". Sono un po' come il Sole e la Luna, ma voi quale poster preferite?


Faye Dunaway
Happy Birthday to you, Mr. Cannes!


Ultimo ma non ultmo, i giurati: Nanni Moretti dovrà arrivare a un verdetto insieme a nientepopodimeno che... Dei nomi in lista gioisco per il regista Alexander Payne, il cui Paradiso Amaro mi ha piacevolmente sorpreso, e per l'attrice palestinese Hiam Abbas. Se da giurata è in gamba un briciolo di quanto lo sia da attrice...

P.S. Ma che c'azzecca in giuria Jean Paul Gaultier?!

martedì 8 maggio 2012

Restless: grazie Danny Glicker!

Il poster del film
Grazie a Dio esistono cinema come Anteo e Apollo che propongono rassegne come Rivediamoli! dove vedere un film più che buono costa solo 2 Euro e mezzo. E così sono andata a riguardare su grande schermo Restless di Gus Van Sant (il titolo originale mi suona molto meglio della nostra traduzione L'amore che resta). Il mio giudizio sulla pellicola - che trovate come sempre su Milanodabere.it - è tutto positivo. Delicato, poetico, rispettoso il tocco del regista che imbastisce una storia su Eros e Thanatos, avvalorando il ruolo della finzione e del gioco persino davanti alla morte, tirando in ballo Darwin e l'Evoluzionismo per renderli purissime metafore o rendendoli poesia.

Restless colpisce per un aspetto molto più frivolo: gli abiti di scena. Decisamente vintage, splendidamente - sottolineo - vintage, sono stati selezionati e curati dal costumista di Danny Glicker (Milk, e Tra le nuvole), che con Mia Wasikowska (Annabel) ed Henry Hopper (Enoch), i due giovani protagonisti, ha fatto un lavoro eccezionale. Come spesso accade, il pressbook del film contiene poche tracce della ricerca che ha impegnato Glicker, il passaggio più interessante è forse questo: "Per Enoch Brae, interpretato da Henry Hopper, Glicker ha scelto un look vintage, vissuto, usando una combinazione tra capi attuali e altri d'epoca, abiti che Enoch avrebbe potuto scovare in soffitta o in un negozio dell'usato. L’intero mondo di Enoch è andato in pezzi e così i suoi vestiti. Anche la Annabel di Mia Wasikowska ha un look vintage, che mescola abiti degli anni '20 e '30 con altri degli anni '60, creando un insieme fresco e unico. 'E’ stato bello lavorare con Mia”, dice Glicker, 'perché può permettersi di indossare capi colorati, a differenza della maggior parte delle persone. Mi sono ispirato ai colori degli anni Trenta, colori che non vediamo quasi più, come i gialli caldi, molto autunnali, ricordano le foglie che cadono, ma sono anche vibranti e vivaci".

Una scena di "Restless". Abiti meravigliosi! 

Per capirne di più occorre spulciare nel web. Fortunatamente si trova un'intervista rilasciata da Glicker a MTV. Qui spiega come è riuscito a evitare le trappole del gotico e del patetico per raccontare le storie drammatiche dei due personaggi protagonisti del film attaverso gli abiti che indossano. Glicker spiega anche quali sono i pezzi preferiti che è riuscito a recuperare da negozi e bancarelle: ci sono le scarpe in lamé d'argento e il capospalla maculato bianco che Annabel indossa per il primo appuntamento ufficiale con Enoch. Per valutare la ricercatezza delle mise della Wasikowska pensiamo che nella scena in cui si imbuca a un funerale insieme a Henry Hopper, veste un abito di pizzo dagli anni '20, con cappotto in visone degli anni '20, mentre il cappello è del 1890.

Un bozzetto firmato Danny Glicker per il film


Impossibile poi non notare gli occhiali da sole di Enoch: si tratta di un paio da macchinista degli anni '40, che danno un tocco punk al personaggio.

Gli occhiali decisamente vintage di Enoch

Poi il costumista passa al piano personale, parla per sé, al di là del film. Ci invita a riscoprire il gusto dell'acquisito ponderato tarato sulla qualità, sulla "longevità" di un capo. E ci invita a giocare con la moda, con quello che scegliamo per il nostro armadio (guardaroba no, via, sarebbe troppo pretenzioso), proprio come "giocano" Enoch e Annabel per tutto il film o quasi.

Ancora un assaggio degli outfit dei protagonisti di "Restless"
Alla domanda se vi siano personaggi di riferimento nel suo lavoro, Glicker precisa che considera una vera icona di stile Iris Apfel e il volume a lei dedicato Rare bird of fashion, definisce artista, designer e couturier il compianto Alexander McQueen, fonte di ispirazione il fashion (e street) photographer Bill Cunningham. Però...

Mr. Bill Cunningham
... però alla fine Glicker dice pure: "Le persone che mi ispirano sono persone che capiscono la differenza tra moda e stile". E dice anche quello che segue, ma ve lo scrivo in inglese per non perdere mezza sfumatura: "Style is about putting together clothes in a manner that brings you pleasure, to enjoy life as much as you can, and that was really my intent with this movie and a big point with how I envisioned Restless". Che dire, proviamoci!

Insomma, se non lo si fosse capito, andate a vedere Restless!

martedì 1 maggio 2012

Hunger Games, giocattolone con l'anima

Sulla cresta del successo americano, dove ha conquistato i botteghini, Hunger Games giunge in Italia fomentando le aspettative del pubblico e facendo affilare i coltelli dei critici più esigenti. Tratto dal romanzo di Suzanne Collins (The Hunger Games, Mondadori 14,90 Euro), primo di una trilogia, si propone come merce per adolescenti. Protagonista è Katniss Everdeeen (Jennifer Lawrence, nome da tenere d'occhio, già interprete di Un gelido inverno), ragazza coraggiosa impegnata a tutelare la sopravvivenza di madre e sorellina nel loro triste e duro presente, ambientato nel futuro post-apocalittico dove gran parte della popolazione di quel che fu l'America del Nord è costretta ai lavori più umili da pochi ricchi e potenti, tutti confinati nella città di Capitol. Come se non bastasse, l'odiosa oligarchia si sollazza con dei giochi disputati annualmente: gli Hunger Games appunto. Giochi di guerra (o sadici sacrifici umani) e al contempo reality show in cui vince solo uno dei 24 partecipanti, l'unico cioè che resterà vivo dalla lotta che prevede poche ma crudeli regole: far fuori tutti gli altri concorrenti per salvare se stessi e, non poteva mancare, il canone principe: “non ci sono regole”.

Jennifer Lawrence in "Hunger Games"
Katniss parte per i suoi Hunger Games da volontaria al posto della sorella, estratta a sorte come partecipante. Determinata e consapevole del destino che la aspetta, finirà per creare molto più scompiglio di quanto non si aspettasse… Con una trama del genere c'erano tutti i presupposti per fare di Hunger Games un giocattolone hollywoodiano senz'anima. Eppure, senza essere un capolavoro, il film diretto da Gary Ross (Pleasantville) coinvolge lo spettatore nell'ansia del conflitto dei giochi crudeli, crea un universo futuristico – quello di Capitol – eccentrico e caricaturale, riuscendo pure a mettere  una lente di ingrandimento sui meccanismi della fama e dello show business contemporanei. Paragonato, per via degli incassi record e per il target giovanile, alla saga di Twilight, Hunger Games ha forse più punti di contatto con quella di Harry Potter: tolto l'universo fantastico di Hogwarts, magnificamente descritto da romanzi e film sul celebre maghetto, resta la critica sociale: quell'invito alla responsabilità, al coraggio, al senso etico e civile rivolto alle generazioni più fresche. Tematiche che verranno riprese nei prossimi capitoli di questa nuova saga? Difficile rispondere ora, toccherà aspettare il 2013, anno di uscita di La ragazza di fuoco, dove la regia passerà nelle mani di Francis Lawrence (Io sono leggenda ma anche autore del tremendo - a mio avviso - Come l'acqua per gli elefanti), tranquilli: Jennifer Lawrence è confermata come unica, insostituibile, protagonista.

La locandina di "L'implacabile", ovvero "The running man"
con Arnold Schwarzenegger
P.S. Se gli argomenti Di Hunger Games vi garbano, vi suggerisco la lettura di Acido Solforico di Amélie Nothomb e la visione di L'implacabile, con Arnold Schwarzenegger. Entrambi (ma il primo di più) approfondiscono il tema del reality show estremo, che coniuga morte e spettacolo.