lunedì 31 ottobre 2011

Colazione con Audrey e Truman

Il bacio del finale di
"Colazione da Tiffany"
Colazione da Tiffany compie cinquant'anni. Tra i film che più hanno segnato il gusto e dettato legge in fatto di stile tra quelli proposti da Hollywood, fu portato al cinema da Blake Edwards, re della commedia USA, nel 1961. Complice una sfolgorante Audrey Hepburn in abiti Givenchy e una sceneggiatura da favola, con tanto di bacio appassionato sotto la pioggia di New York nel finale, la pellicola divenne presto cult. Torna, in occasione dell'importante anniversario, sugli schermi d'Italia in versione restaurata in digitale, grazie a Nexo Digital.

Colazione da Tiffany arriva a Milano, al cinema Arcobaleno di viale Tunisia, che lo propone per tutta la giornata di mercoledì 9 novembre, con proiezioni alle ore 15, 17.30, 20  e infine alle 22.30. Ora, lasciando che – giustamente – le ragazze milanesi si organizzino di conseguenza, con una serata consacrata a Holly Golightly comprendente aperitivo o cena pre/post visione, mi propongo (vi propongo) di sfruttare l'occasione di questo anniversario per:

"Due per la strada"
Recuperare  il romanzo di Truman Capote, anno 1958: Colazione da Tiffany si discosta per diversi elementi dalla sua "riduzione" cinematografica votata alle leggi hollywoodiane, regala cioè personaggi più ambigui e complessi di quanto non faccia il film, a partire proprio da Holly Golightly. Il libro di Capote è disponibile per i tipi di Garzanti sia in edizione rilegata (14,60 Euro) sia in versione tascabile, nella collana Gli Elefanti (9,00 Euro).

Ascoltare la colonna sonora by Henry Mancini, che include l'indimenticabile Moon River, magari nella versione rieditata dall'etichetta inglese Harkit proprio per il 50mo anniversario e disponibile su Amazon.com.


In via Bissolati a Roma
1968 Elio Sorci
© Camera Press/Photomasi
Scoprire una versione alternativa di Audrey Hepburn attraverso un dvd o una mostra. Il dvd in questione è quello di un altro film, più disincantato e diversamente godibile rispetto alla commedia di Edwards, intitolato Due per la strada. Qui la Hepburn si sbizzarrisce indossando Mary Quant e sgargianti Paco Rabanne, ma soprattutto incarna una donna complessa nel mezzo di un matrimonio (forse) al capolinea. Si tratta di un titolo un po' dimenticato, che affronta con leggerezza e onestà gli alti e bassi che forse ogni matrimonio conosce. La mostra invece è quella che Roma dedica alla diva Audrey: fino al 4 dicembre al Museo dell'Ara Pacis sono esposte oltre 100 fotografie che documentano la vita romana della Hepburn, che scelse la capitale per vivere, da moglie e madre, gli anni successivi al successo di Hollywood. Una Audrey insolita, colta nelle faccende quotidiane senza perdere niente di quell'allure che l'ha resa un'icona. E qui ci fermiamo, per non rischiare di incappare in stereotipi, così poco chic.




sabato 29 ottobre 2011

Il catalogo ritrovato

Il catalogo ritrovato.
Cover decisamente minimale
Ancora non è finito questo mio sabato, l'ultimo dell’ottobre 2011, mese foriero di alte temperature nella sua prima parte e di un principio di autunno incantevole nella seconda, complici le tonalità del fogliame milanese tra gialli oro, verdi caldi e rossi intensi. Ancora non è finito questo sabato – dicevo - ma quel che mi ha portato finora è stato grande. Il dono più prezioso della giornata è stato proprio un regalo fatto da una persona cara, carissima (<3, scriveremmo su Facebook) e cioè il catalogo di una mostra del 1972, un volume usato, pescato in una libreria in viale Coni Zugna a Milano (la Libreria Menabò, per la cronaca). Perché è speciale questo catalogo? Perché racconta un capitolo del nostro design e cioè la sua consacrazione (che brutta parola, qui però inevitabile).

Nel 1972 il MoMA dedicò un’intera esposizione al design italiano, l'evento si intitolava Italy. The New Domestic Landscape ed è questo il titolo, ovviamente, del catalogo in questione. Qualche mese fa, nella sua DesignLibrary, Valerio Castelli raccontava: "The New Domestic Landscape lanciò il design italiano nel mondo. Fu il frutto di un viaggio in Italia di Emilio Abasz, che ne fu il curatore. Era il 1971. Abasz mi chiese di fotografare gli oggetti che sarebbero entrati nel catalogo. Di fotografia in fondo non sapevo molto, ad insegnarmi fu Ugo Mulas. Grazie a quell'esperienza conobbi molto del design italiano, fu un'esperienza che mi cambiò la vita". 
La Kar-A-Sutra di Mario Bellini
Quel catalogo e quella mostra di quasi quarant'anni fa furono senza dubbio un'opportunità per sperimentare e scoprire nuovi modi di comunicare il design: oltre a scatti in atelier, vi sono allestimenti open air, come le immagini che ritraggono la Kar-a-sutra di Mario Bellini, dove si vedono attori (in realtà amici del fotografo Castelli), con i volti dipinti di bianco, interagire col prodotto. La mostra e il suo catalogo raccontarono al mondo un design antiaccademico, "radicale", frutto di coraggio, studio e perizia dei suoi fautori (Branzi, Mendini, Pesce, Sottsass e molti altri): una "primavera" del design che oggi manca molto. Sfoglio le pagine ingiallite di questo volume e spero di essere anche io, presto, testimone di una stagione simile.

lunedì 10 ottobre 2011

Officina Italia, capitolo finale con "Capitale Immorale"

Era un appuntamento che si teneva in primavera. "Era", perché quest'anno Officina Italia ha rischiato di saltare, arrivando all'autunno senza una quinta edizione, ed "era" perché ora che le date di apertura di chiusura dei lavori sono arrivate, con loro arriva anche la notizia della chiusura definitiva. Quinta e ultima edizione dunque per il festival letterario milanese: "Abbiamo deciso di terminare l’esperienza di Officina Italia perché siamo convinti dell’importanza del lavoro svolto fino ad oggi e siamo altrettanto convinti che le cose belle e interessanti siano tali solo nella consapevolezza di un percorso da terminare. In modo che tornino a circolare le idee e si aprano nuovi orizzonti di sperimentazione. Specie in questo paese, specie in questi anni.", si legge nel comunicato stampa. Una fine che ha il sapore di un nuovo inizio, il vuoto lasciato sarà prima o poi riempito da un altro progetto. Un addio che suona come un obamiano Hope!, ma intanto...
Tempo per dire addio a Officina Italia: da giovedì 20 a sabato 22 ottobre. Solito posto: la dimora storica della manifestazione, la splendida Palazzina Liberty che lambisce Parco Largo Marinai d’Italia. Il festival era nato da un'idea degli scrittori Alessandro Bertante e Antonio Scurati, che desideravano sondare l'evoluzione del rapporto tra letteratura e coloro che la letteratura la fanno, cioè intellettuali e autori, con uno sguardo volto anche verso scienza e arte. Così, dal 2007 ad oggi, alla Palazzina Liberty si sono alternati scrittori italiani impegnati a leggere brani delle loro opere ancora inedite. Negli anni, sono passati da Officina Italia Alessandro Baricco, Gabriele Salvatores, Alessandro Piperno, Paolo Giordano, Valeria Parrella, Pietrangelo Buttafuoco, Maurizio Maggiani, Carlo Lucarelli, Sandro Veronesi, Walter Siti, Tiziano Scarpa, Silvia Avallone, Vinicio Capossela, Nicolò Ammaniti, Melania Mazzucco, Filippo Timi, Michele Serra, il collettivo Wu Ming, Ascanio Celestini e Roberto Saviano.


A Officina Italia anche
l'autore di "Alveare"
Significativo il tema di questo ultimo appuntamento con la tre giorni letteraria milanese: LA CAPITALE IMMORALE. E vale la pena scriverlo in maiuscolo questo titolo, mi fa pensare a quelle persone che rivendicano con orgoglio la cittadinanza nel motore economico del Belpaese per poi dimenticarsi che "il pesce puzza sempre dalla testa", persone che si illudendo (o vogliono illudersi, o vogliono illudere) che Milano non abbia un ruolo nella crisi che vive il paese.  Milano nel presente e nell'immaginario letterario è la protagonista vera di Officina Italia – Atto Finale: "città che negli ultimi tre decenni ha vissuto una decisa crisi d’identità, smarrendo la sua originaria vocazione di metropoli aperta, accogliente e soprattutto innovativa. Ma l’importante svolta politica di questa primavera ha aperto scenari inediti e incoraggianti.".  Ancora una volta gli organizzatori invocano la speranza di un rinnovamento concreto, non solo sognato. Di seguito il programma della manifestazione.

Giovedì 20 ottobre ore 21.00
Carlo Petrini – intervento inaugurale
letture di
Giuseppe Catozzella (autore di Alveare, romanzo inchiesta sulla ‘ndrangheta all’ombra della Madonnina, consigliatissimo dalla sottoscritta e non solo, of course)
Igino Domanin
Antonio Scurati
Gianni Biondillo
Michele Mari

Venerdì 21 Ottobre ore 21.00
letture di
Federica Fracassi
Alessandro Mari
Alessandro Bertante
Giuseppe Genna
Aldo Nove

Sabato 22 Ottobre ore 21.00
letture di
Vincenzo Latronico (autore del romanzo La cospirazione delle colombe, ari- consigliato dalla sottoscritta)
Paola Capriolo
Bruno Arpaia
Antonio Franchini
Francesco Bianconi

venerdì 7 ottobre 2011

Coincindenze/1. Piccolezze made in France

Mentre il mondo ruota (o rotola?) sull'asse dell'entropia, mi permetto uno strappo sconclusionato e sognante, chiedo scusa in anticipo. Sull'onda della nostalgia per le vacanze passate in Francia, ho deciso di caricare sul mio iPod un brano della colonna sonora de Il favoloso mondo di Amélie, insieme a Je ne veux pas travailler di Pink Martini. Ora, si sa che la musica (quella buona) ha il potere di far vedere il mondo da una prospettiva diversa, con uno sguardo completamente nuovo. Metto così alla prova questi due pezzi mentre mi avvio verso il lavoro e devo dire che funzionano. Nella leggerezza che mi coglie in questo ottobre a cui l'estate si è attaccata per non andare via, salgo sull'autobus e sperimento il piacere della coincidenza. Quante volte il mondo sembra congiurare contro di noi? La legge di Murphy spadroneggia per buona parte del calendario, poi ti tocca una giornata così, dove tutto arriva al momento giusto per farti sorridere.
Un frame de "Il favoloso mondo di Amélie",
di cui tutte vorremmo essere protagoniste
Fermata dopo fermata, la musica continua, ma nel frangente silenzioso che separa un brano da un altro sul mio iPod, si insinua la voce "live" della ragazza seduta accanto a me. Sta parlando al telefonino, in francese. Mi ricordo così che devo scrivere un articolo sulla Bretagna!  Mi guardo la punta delle scarpe e - non ci avevo fatto caso - indosso proprio le ballerine rouges che un mio caro amico mi ha regalato in quel di Dinard. Arrivata al lavoro, un collega mi racconta del suo ex fidanzato che, rimasto single, è partito per un weekend a Parigi. Intanto, un'altra collega sta sbirciando online le foto paparazzate di vip in qualche bistrot parisienne. Oggi la Francia vuol farmi compagnia. Ciliegina sulla torta, noncurante della mia anosmia, il mio cervello si immagina la fragranza di una baguette calda spalmata di beurre sel, poi tocca al profumo di croissant… La sensazione è così forte che la sera, a casa, mi tuffo sull'unica pietanza d'Oltralpe disponibile in dispensa: fois gras de canard. Non lo so a cosa o a chi devo questa giornata in stato di grazia, in cui la più piccola sciocchezza mi fa felice – guarda come stanno bene i colori di quell'edera autunnale accanto al rosso quasi bordeaux della buca delle lettere, ci vorrebbe una macchina fotografica! – ma la prendo così com'è e con un sorriso dico grazie, anzi: Merci!.

mercoledì 5 ottobre 2011

Fenomenologia della proiezione stampa/1: il film strappalacrime

Presenziare alle proiezioni stampa è una faccenda complessa per diversi motivi. La visione dello struggente Restless, sul mercato italiano con il titolo L'amore che resta, nuovo film di Gus Van Sant, porta all'attenzione una delle ragioni di cui sopra: come comportarsi davanti a un film commovente quando si divide la platea con esperti professionisti, critici impassibili che mai cederebbero al fazzoletto? I registi devono essere al corrente dell'imbarazzo della situazione, perché hanno il crudele vizio di piazzare le scene più strappalacrime proprio sul finire della pellicola. Così, quando in sala si alzano le luci, tu sei ancora lì a tirare su col naso, gli occhi gonfi come zampogne, impossibile dissimulare il pianto e sfuggire allo sguardo dei professionisti di cui sopra.

Anche i critici piangono. O no?
Fino a qualche tempo fa mi avviavo all'uscita coprendomi il viso (e la vergogna) con i capelli, ora – complice il taglio corto - mi trattengo stoicamente fino all'auto (sempre che non sia in metro, allora il problema si fa serio) e mi libero sul sedile del guidatore col favore delle tenebre (se la proiezione si tiene la sera, sennò... ci siamo capiti). Ora, al cinema non sono certo l’unica a piangere tra i rappresentanti della stampa presenti, però io e quelli della mia specie non siamo nemmeno in tanti. Mi domando allora: perché? L'atteggiamento distaccato del critico agevola davvero il suo mestiere? Il critico più cinico è anche il più bravo? Sarà forse che la visione di centinaia di film fa indurire gli animi? Ma che senso ha andare al cinema con il freno a mano dell'impassibilità tirato? Con questi pensieri sguscio fuori dal cinema Palestrina in una sera di ottobre insolitamente calda, supero una coppia di giornaliste e le odo sentenziare sul regista: "Melenso… Patetico… Gioca pure a fare l’alternativo!". Ma i critici un cuore ce l'hanno? E se ce l'hanno, ogni tanto si ricorderanno di portarlo al cinema?