sabato 30 marzo 2013

Grazia Neri. La fotografia, che malattia

Presentando il suo libro alla Feltrinelli di Piazza Piemonte, Grazia Neri si lascia andare a un commento adatto al luogo: "Quanto mi fanno arrabbiare quei libri senza foto dell'autore in quarta di copertina! Da ragazza sognavo di guardare in faccia lo scrittore che avevo appena finito di leggere, mi piace guardare che tipo è questo scrittore e quanto più un romanzo mi conivolge, tanto più vederlo in faccia diventa una malattia!". Tra i ritratti di questa categoria, manco a dirlo, la Neri ha una predilezione per quelli di Gisèle Freund.

Samuel Beckett fotografato da Gisèle Freund

La Grazia - diamoci del tu, suvvia - racconta che lo stupore dalle fotografie del futuro arriverà probabilmente dai reportage naturalistici ("il pesce con i denti umani scoperto in Florida!"), che sui giornali le foto che si vedono sono già e saranno sempre più sempre le stesse perché tutti useranno le stesse agenzie ("e questo non ci educa a leggere una foto, nè a decidere se una foto è onesta o se vuole e sa rappresentare l'articolo che accompagna"), che la professionalità degli archivisti la preoccupa ("perché da loro dipende l'accesso, un domani, alla conoscenza del nostro presente, il rischio è perdere il nostro patrimonio fotografico"). E ci tiene a ribadire che "una fotografia non dice nè è la verità. Può essere una cosa vicina alla verità, se inserita in una giusta sequenza, se accompagnata da una didascalia fatta bene e da un editing corretto".

Devo dire che sono d'accordo con lei, su tutta la linea, ma non è solo per questo che ho comprato La mia fotografia (Feltrinelli, 25 Euro), piuttosto perché le sue 448 pagine trasudano la ricchezza di quelle vite vissute col piede sull'acceleratore, intense perchè piene di incontri e storie e idee che raramente possono concentrarsi in una sola persona. Il destino così vuole, talvolta. E a noi, comuni mortali non resta che rosicare/sognare/imparare, fate voi.


Vrginia Woolf, sempre per Gisèle Freund


venerdì 29 marzo 2013

Fenomenologia della proiezione stampa/3 Cappuccino e cinema

"Cinema e vampirismo hanno molto in comune", diceva Gianni Canova all'inaugurazione della mostra su Dracula in Triennale. Ed è quello che penso ogni volta che esco da un cinema prima delle 12.30, fresca - ça va sans dire - di anteprima stampa. Non è raro infatti che vengano pianificate al mattino. I primi tempi la cosa mi lasciava interdetta. Fa parecchio strano arrivare al tè delle cinque (per dire) e potersene uscire con frasi del tipo: "Sai, sono stata al cinema stamane...".

Ad andare al cinema di mattina ci si fa il callo, resta la sensazione che sia un enorme privilegio: poter pensare che gran parte degli adulti sono chiusi in un ufficio a sclerare per i soliti motivi, mentre noi si sta in quello che è un po' un parco giochi della mente.


In genere le anteprime riservate ai giornalisti le organizzano nei cinema del centro milanese: Apollo e Odeon per intenderci (anche perché altre sale, nel centro storico, non esistono quasi più e a tal proposito vi invito a farvi un giretto qui). Dovessi scegliere però il cinema prediletto per queste proiezioni, risponderei l'Anteo. Non lo raggiungo più facilmente degli altri due, anzi. Per arrivarci scendo dalla metro a Moscova (linea verde, non rossa... ahi ahi ahi) e mi tocca percorrere un tragitto (Corso Garibaldi) dove il livello di tamarreide (à la Corona, per intenderci) si attenua giustappunto solo nelle ore del mattino.

Intanto a favore dell'Anteo c'è che, superato Princi (e il suo fantastico cappuccino), superato il Radetzky (brrr...), superato pure Aldo Coppola, si svolta in via Marsala, e poi in via Milazzo e qui  prima di arrivare al cinema si costeggia una scuola dell'infanzia. L'edificio ha un piano seminterrato, con altissime finestre che arrivano al livello del marciapiede, passando si vedono le aule. Spesso le proiezioni iniziano intorno alle 10, così capita non di rado che laggiù, protetti dal solito tran tran, i bambini siano impegnati nelle loro attività. Capita poi sulla via del ritorno, usciti dall'Anteo, li si veda pranzare. Questa piccola e fugace esperienza mi mette di buon umore per almeno 5 minuti.

Perché penso a com'ero io alla loro età (oddio, sto invecchiando!), perché penso a quanto si stiano divertendo (spero), perché penso a come sarebbe la mia vita se avessi continuato i miei studi sulla linea retta che dall'istituto magistrale (ok, sono vecchia) avrebbe dovuto in un'aula a insegnare forse proprio a quei bimbi (forse sono loro, ora, a pensare brrrr...). Reminiscenze dell'infanzia, nostalgia, fuga dalla realtà ed endorfine (o adrenalina) scaricate dalla visione cinematografica si mescolano. E anche questo è la magia del cinema (in anteprima riservata).


venerdì 8 marzo 2013

Isolamento, giorno 4

Da domenica sera non metto il naso fuori da casa, salvo quando sono riuscita finalmente ad andare dal medico, che ha disposto il riposo forzato fino a venerdì. Cinque giorni chiusa in casa per malattia, insomma. Non mi succedeva dalla quinta elementare, credo. Se non conto la lunga, lunghissima degenza post intervento all'orecchio nel 2009, quando restai segregata per due, tre settimane. E insomma, cinque giorni son lunghi, che si fa? Che si fa quando hai un mal di schiena così tosto che non riesci a stare seduta, a star sdraiata, a leggere, a guardare la tv, a usare il pc? Beh, in quel caso ti stracci le palle, per usare un francesismo. Da malati, non sempre il corpo risponde a quel che vorremmo fare, talvolta neanche la testa. Tra assenza di volontà e inedia, in malattia sentiamo il diritto di tornare bambini e assecondare gli istinti. Ecco una personale top ten di parole, opere e (parecchie) omissioni che l'indisposizione porta con sé.

Anche le figone si ammalano. Tipo Samantha Jones.

  1. Appena mi rimetto in forma, mi iscrivo a yoga/pilates
    Sì, certo. Siffatto buon proposito resterà tale, cara mia, perché se è vero che conosco la tua pellaccia, so anche che in XX anni di vita non hai mai fatto sport in maniera costante. Anzi, ora che ci penso, di costante nella tua vita non hai fatto un tubo. Forse, leggere e andare al cinema (come diceva quel tale, di cui non ricordo il nome).
  2. Non erano avanzati dei torroncini al pistacchio?!L'astenia propria di ogni morbo riconduce l'umano ai bisogni primordiali: dormire e, soprattutto, mangiare (salvo non siate affetti da gastroenterite acuta). Tanto meno sono le forze di cucinare - e di lavare i piatti - tante più schifezze ingurgiterete. Fatte fuori le patatine al lime e pepe rosa, cercherete di stanare i rimasugli del pacco di Natale. Occhio, perché una volta dato fondo alla dispensa, l'Esselunga resterà un miraggio (siete in malattia!) e sarete tentate di mettere da parte l'idiosincrasia per il torrone DURO all'arancia.
  3. Da domani mangio sano!
    L'ennesimo cespo di insalata sta languendo in frigo. Il freezer trabocca di carciofi surgelati. Magari mi faccio un purè... Mamma, dove sei?!!
  4. Vabbè, almeno non posso cedere allo shopping compulsivo...
    Risparmiare perché impossibilitati a spendere causa malattia temporanea è semplicemente una sciocchezza. E non conta solo il conto (ops!) della farmacia o lo stipendio a fine mese, contano le tentazioni che l'infermità temporanea o la tecnologia si portano dietro (vedi al punto successivo).
  5. ... beh, potrei comprarlo su Amazon...
    La catatonia e la letargia che accompagnano i primi giorni di affezione lasceranno spazio prima o poi a ore vigili o insonni. Se vi riesce, leggerete una rivista femminile, che altro non è se non un ricettacolo di pubblicità, Amazon fa il resto. A meno che non preferiate le vecchie maniere.
  6. ... quasi quasi aspetto e me lo compro in negozio, che dà più soddisfazione!Dapprima inizierete a fare liste. Liste di ciò di cui avete bisogno. Operazione che deriva in genere da altre due: sfogliare riviste appunto, riordinare i cassetti. Quest'ultima si palesa, in genere, appena si recuperano un po' le forze. Io ho riordinato il cassetto del make-up al quarto giorno di segregazione e oltre ad aver fatto pulizia di ombretti blu elettrico del 2006 e simili, ho buttato giù una lista di quel che mi manca (o che dovrei sostituire). Per un importo pari a 250-300 Euro. Fondotinta più, fondotinta meno.
  7. Finalmente ho un po' di tempo per leggere!
    Se non vi scoppia il cervello, non avete subito un intervento agli occhi o appena il torcicollo ve lo consente, i libri saranno il vostro pensiero. Ma siccome chi ha pane non ha denti, la concentrazione sarà dura a persistere (causa altri concorrenti, vedi post successivi). Così mentre leggo Jane Austen, mi capita di pensare senza motivo alcuno a Dante, a Maria Corti, a quell'edizione della Divina Commedia da lei curata che avevo al liceo e poi ho ri-ven-du-to al Libraccio. Come ho potuto? Per quei quattro spicci! Non mi ricordo nemmeno più la casa editrice! ... E se non l'avesse interamente curata Maria Corti?! Aspetta, ma io non ho in casa una copia de I cani abbaiano! Però... se leggessi l'edizione di Minimum Fax di Tenera è la notte...
  8. La tv la accendo solo per farmi compagnia...
    Fino ad ora non conoscevo le meraviglie del digitale terrestre! Oddio, forse neanche adesso, visto che oso poco e ripiego sulle repliche delle repliche delle repliche (etc.) dei serial della gioventù. Con un velo di malinconia, mi accorgo che tutta la saggezza acquisita in questi giorni - i palinsesti di quei quattro o cinque canali imparati a memoria- verrà vanificata al mio ritorno al lavoro.
  9. ... così mi disintossico un po' dallo smartphone!
    L'infermità come condizione per creare uno splendido isolamento? Siete allettate, mica in Polinesia, eppure io ci ho creduto. Il tempo di un pensiero fugace, la consapevolezza della batteria in più con cui arrivavo a fine giornata rispetto a un normale giorno di lavoro, ed eccomi pranzare e cenare con una forchetta in una mano e il telefono nell'altra. Tu, smartphone, fedele amico che mai mi abbandonasti durante la malattia!
  10. Non vedo l'ora di tornare in società!
    Lo splendido isolamento vi ha ormai triturato i cosiddetti, bramate di respirare aria fresca (benché umidiccia, qui a Milano), sognate una passeggiata fino al giornalaio, un cappuccino come si deve, invidiate perfino le casalinghe in coda al supermarket (o, a questo punto, perfino in farmacia), o quelle tanto in forza da passare il mocio... Pensate di essere pronte... invece. Invece MI aspetta quel periodo di iniziazione, di lento riapproriarsi della vita sociale, che segue subito dopo la convalescenza. Un periodo fatto di 3/4 giorni di rimbambimento, in cui articolare un suono in pubblico richiede un certo sforzo, il corpo vi sembra tornato ma con altre proporzioni (perché continuo a battere contro a tutto?!)... Boh, magari capita solo a me, ma ogni volta che mi ammalo e poi guarisco succede che prima di riprendere il ritmo di prima ci metto un po'. Oddio, mi sta già venendo l'ansia... meno male che danno ancora Friends.