martedì 21 febbraio 2012

David Foster Wallace, 21.02.2012

Quando lo scorso autunno uscì in libreria, mi precipitai a comprarne una copia. Chiesi al commesso se avevano Il re pallido di David Foster Wallace. Mi rispose con aria spocchiosa: "Non saprei. Stava finendo di scriverlo.". Non pensai che fosse ignoranza, ma appunto spocchia. Ribattei: "È postumo. David Foster Wallace si è suicidato". Il tono della mia voce aggiungeva: "Se volevi fare fessa una cliente, beh, hai sbagliato persona". Il ragazzo davanti a me ha messo su una faccia da sgamo, ha abbozzato una reazione: "Ah, beh… certo… Sì, sì, è arrivato. Ma… hai letto l'ultimo di Michael Chabon? No perché secondo me se ti piace DFW allora è possibile ti piaccia anche lui…".  Sono uscita dal negozio con Il re pallido sotto braccio. Era ottobre. Non l'ho ancora letto. Mi spaventa un po' (mai quanto Infinite Jest). Non amo i romanzi postumi, eppure leggerne un brevissimo estratto sul Corriere mi aveva convinto.

David Foster Wallace


Oggi gli estimatori di DFW lo ricordano con particolare affetto. Se non si fosse impiccato nel 2008, oggi, 21 febbraio 2012, David Foster Wallace avrebbe compiuto 50 anni. Su Twitter abbondano le dediche: Einaudi, che lo pubblica in Italia, ha lanciato in suo onore l'hashtag #DFW50 ed è tutto un cinguettio. Mi accodo ai lettori che lo amano, anche se l'ho conosciuto quando già non era più in vita. Lessi La scopa del sistema e la genialità del suo autore mi travolse. L'amore per il linguaggio, per le parole, la vertiginosa evidenza della mancanza di un senso a questa nostra esistenza, l'ironia, la freschezza e – paradossalmente – la vitalità di cui sono capaci le sue pagine mi hanno lasciato e mi lasciano ancora a bocca aperta. Chi ne vuol sapere di più non ha che da leggersi un racconto, un romanzo ed è fatta. Chi già conosce David Foster Wallace forse non sarà del tutto d'accordo con me, ma condividerà - lo so - il ricordo. 

Un'altra bella immagine dello scrittore americano


Di seguito vi riporto un brano de La scopa del sistema.

/c/
"... che, per citare quello che m'è toccato sentire per anni e anni e che immagino anche tu abbia sentito mille volte, il significato di una cosa non è più o meno altro che la sua funzione. Eccetera eccetera eccetera. Te l'ha mai fatta la scena della scopa? No? E adesso cosa usa? No. Con me usò la scopa, però ti parlo di quando avevo tipo otto anni, o dodici, chi se lo ricorda, e Lenore mi fece sedere in cucina e prese una scopa e si mise a scopare furiosamente il pavimento, e poi mi chiese quale fosse secondo me la parte più fondamentale della scopa, la più cruciale, se il manico o la chioma. Il manico o la chioma. E io non sapevo cosa rispondere, e lei si mise a scopare ancor più violentemente, e io cominciai a innervosirmi, e finalmente dissi che secondo me era la chioma, perché senza manico si può scopare lo stesso, basta tenere in mano l'affare con la chioma, mentre scopare solo col manico è impossibile, e a quel punto lei mi agguantò e mi scaraventò giù dalla sedia e mi gridò qualcosa cosa tipo: ' Già, perché a te la scopa serve per scopare, no? Ecco a cosa ti serve la scopa, eh?' e roba del genere. E gridò che se invece la scopa ci serviva per spaccare una finestra allora la parte fondamentale era chiaramente il manico, e passò a dimostrarlo spaccando la finestra della cucina, cosa che fece accorrere i domestici, terrorizzati; ma che se appunto la scopa ci serviva per scopare, tipo per esempio i vetri rotti della finestra, e dài che scopava, allora l'essenza della cosa era la chioma. Non te l'ha mai fatto? E adesso cosa usa? Le matite? Non importa. Il significato come fondamentalità. La fondamentalità come uso. Il significato come uso. Cosa? E lo chiedi a me, perché? Perché? Ma allora di cosa parlate tutto il tempo? Perché si sente inutile, ecco perché. Lì alla Casa di Riposo si sente, si sentiva, priva di funzione. Aspetta, ci arrivo subito. La chiave di tutto è nella sensazione di inutilità. Quand'era a casa si sentiva a disagio perché diceva che la casa, ricordi?, era un ricettacolo di memorie di capacità perdute che la faceva sentire sempre più un'invalida, data l'infermiera ventiquattr'ore su ventiquattro e la faccenda della temperatura eccetera eccetera. No, non c'erano alternative, e fu appunto per questo che le comprai la Shaker Heights, anche se come investimento non valeva una cicca. Se non fu amore quello... Certo che, per una convinta che il significato sia l'uso, sentirsi priva d'uso... Insomma venne da me e mi disse che era infelice. Non te l'ha mai detto? Mi sembra strano. Mi viene in mente proprio adesso, pensando al reparto di mia madre, quello degli Alzheimer. Era una cosa che scioccava Nonna Lenore. Bloomfield le aveva spiegato che i pazienti di quel reparto non riuscivano a ricordare i nomi delle cose, della televisione, dell'acqua, delle porte... e allora, su suggerimento di Nonna Lenore, Bloomfield fece identificare le cose tramite le rispettive funzioni. Non t'ha raccontato nemmeno questo? Del manualetto/vocabolario, quello con Lawrence Welk in copertina e il titolo a caratteri dorati? Be', insomma ribattezzarono le cose in base alla loro funzione, e così la porta diventò "Quella cosa che usiamo per passare da una stanza all'altra", e l'acqua "Quella cosa che beviamo, incolore", e la televisione "Quella cosa su cui guardiamo Lawrence Welk" - giacché con Lawrence Welk non c'era nessun problema di identificazione, essendo un'entità primigenia e indefinita persino sulle emittenti affiliate. E così mia madre e gli altri riuscirono in qualche modo a reimparare le parole che gli occorrevano, tramite la loro funzione, cioè tramite l'uso che se ne faceva. E poi Nonna Lenore si accorse che l'unica parte della struttura che non poteva beneficiare di quel metodo erano i pazienti stessi, in quanto privi di funzione, privi di uso, letteralmente buoni a nulla. Non t'ha raccontato nemmeno questo? Mi disse che questa cosa l'aveva fatta disperare. Non servivano a niente.
[David Foster Wallace, La scopa del sistema, pag. 167 e §§, Einaudi, 2008]

Nessun commento:

Posta un commento