venerdì 2 marzo 2012

Milano scopre Ai Weiwei

Gli artisti contemporanei suscitano sempre diffidenza. Ci chiediamo se siano geni o furbacchioni: sarà capitata la stessa cosa a Leonardo Da Vinci o a Caravaggio, nel '400 e nel '600? Capita oggi con Maurizio Cattelan, capita anche con l'artista che attualmente risulta avere più valore sul mercato: Ai Weiwei, cinese di Beijing, classe 1957 e, dal prossimo 12 aprile, ospite alla Lisson Gallery di Milano con una personale realizzata con opere in ceramica e in marmo.

Ai Weiwei fiero della sua mostra Sunflower Seeds
alla Tate Modern di Londra (2010)

Sono curiosa di vedere gli spazi della galleria assediati dai lavori dell'artista, come Watermelons, rappresentazioni realistiche della natura, e soprattutto come Oil Spill: pozzanghere di ceramica nera e lucida sparse sul pavimento della Lisson, a evocare il petrolio che insozza i nostri mari, le nostre terre, l'aria che respiriamo e certo anche qualche altra cosa.

Personalmente ricordo che provai simpatia per Ai Weiwei quando decise di occupare la sala delle turbine alla Tate Modern (era il 2010) con un mare di semi di girasoli in ceramica, in tutto e per tutto identici a quelli veri. Circolarono immagini dei visitatori, grandi, piccini, adulti e ragazzini, che si tuffavano, si rotolavano, scherzavano e giocavano in mezzo a quella miriade di chicchi. Ai Weiwei li stava facendo fessi. Quelle migliaia di semi di ceramica erano state fatte a mano da centinaia di artigiani cinesi ed erano la metafora dei milioni di prodotti realizzati grazie alla manodopera cinese, che ogni giorno dilagano nel mercato occidentale, riempiendo le nostre case, i nostri negozi, le nostre pattumiere. Sunflower Seeds era il simbolo del lavoro ben poco tutelato dei lavoratori cinesi,  fra cui sappiamo si contano anche moltissimi minori, che permettono all'Occidente di avere sempre di più in termini di mercato e all'Oriente sempre di più in termini di fatturato.

La beffa delle beffe arrivò quando sopraggiunse il sospetto che quei semi di ceramica rilasciassero sostanze tossiche nell'aria e che quindi fossero dannosi per i visitatori che ci sguazzavano. Il dubbio condiviso dalla madre che guarda i figli gingillarsi con i balocchi acquistati a pochi euro nel negozietto sottocasa, quelli su cui c’è stampata la scritta “Made in China” e di cui ogni tanto si parla in tv o sui giornali quando finiscono sequestrati dalla Guardia di Finanza.

Una bambina gioca nell'installazione londinese
di Ai Weiwei alla Tate Modern

Le mie aspettative per l'arrivo a Milano di Ai Weiwei sono alte. Mi aspetto qualche bella provocazione, possibilmente con l'opinione pubblica che grida allo scandalo. Altrimenti, caro Weiwei, sappi che per me sarai solo una vecchia faina cinese.

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