giovedì 22 dicembre 2011

Siamo quello che mangiamo

Pubblico qui un post che aveva già trovato spazio tempo addietro tra le note del mio profilo FB. Fu un intervento ispirato dalla lettura di Se niente importa. Perché mangiamo gli animali di Jonathan Safran Foer, uno straordinario mix tra un reportage giornalistico e una raccolta di memorie personali dell'autore. Grazie a quel libro - che acquistai con scetticismo, non per l'autore, ma per il tema: confinare la carne dalla propria dieta - ho imparato parecchie cose, soprattutto a dare importanza al cibo, perché davvero siamo fatti di quello che mangiamo, e non parlo solo di cellule e metabolismo. Dunque, la nota cominciava così...

Rompere la crosticina della crème brûlée. E per l'Amélie
del regista  Jean-Pierre Jeunet è subito "effetto Madeleine".
Potere del cibo...

Si può scrivere un'autobiografia passando in rassegna le pietanze che, per svariate ragioni, ci stanno più a cuore?

Purè di patate con carne trita
Nella mia testa è il piatto da mangiare quando sono malata. "Hai l'influenza? Il raffreddore? Ti senti debole? Non stai bene?" Purè con carne trita. Il purè di patate che prepara mia mamma, non perfettamente vellutato ma con qualche grumo. Abbasso i purè preparati.

Prosciutto crudo, cotto, salame
In età prescolare "realizzo" che tutti e tre derivano dal maiale. Disdegnando l'animale, finisce che disdegno anche gli affettati. Ma il cotto continuo a mangiarlo. Il crudo e il salame no. Motivo: sono rossi, evocano il sangue del maiale. Li bandisco dalla mia dieta fino ai 17 anni. Il prosciutto cotto, di un tenero rosa, mi fa tenerezza e continuo a mangiarlo.

Cervella impanate e fritte
Morbida delizia per il palato. Finché non realizzo (sempre in età prescolare) che per cervella si intende proprio il cervello della povera mucca. Depennate dai miei menu. Mi infastidisce ricordare che sì, erano proprio buone.

Minestra con cosce di rane
Ovviamente l'età è quella prescolare. Ammazzo la noia migrando nelle case dei vicini, curiosa delle loro abitudini, delle loro case diverse. Una di loro mi ospita spesso a cena: tra i cavalli di battaglia della sua cucina, la minestra ut supra. Non faccio una piega, la mangio, faccio il bis. All'epoca poco lontano da casa mia scorreva ancora quella che in milanese si chiama rungia e dentro vi abbondano rane e ranocchie. Mio nonno spesso ne catturava una e la portava a casa in un secchio, dove la osservavo affascinata e un po' schifata. Smisi di mangiare rane non perchè mi facesse senso. Iniziai a rompermi della vicina e mia madre non ha mai cucinato rane.

Rane fritte.
Delizia o raccapriccio?


Pomodori, insalata
Mio padre ha un orto. A volte preferisco la verdura del supermercato, plasticosa, finta, insapore. Mi dà l'idea che non marcisca mai (eppure lo fa eccome, il mio frigo ne sa qualcosa). E dunque non mi ricorda che anche io farò la stessa fine.

Uova sode
Ho cinque anni, accompagno mia madre a prendere mia sorella e mio fratello a scuola. Piove, siamo a piedi e la strada che porta all'istituto ha un tratto sterrato e fangoso. Al ritorno piove così forte che il cappello di tela cerata cede (o forse mi distraggo e basta) e finisco con la faccia per terra, segnandomi il naso: lacrime. Quel giorno a pranzo, in tavola ecco le uova sode.

Tortellini alla panna
All'età di dodici anni circa, mio fratello viene saltuariamente colto da voglie di tortellini alla panna verso le 22.30. Voglie che provvede a soddisfare cucinando da sé. (Non è un racconto metaforico di zozzerie preadolescenziali. Ora che ci penso, Freud le avrebbe lette proprio così)

Gnocchi
Li preparava a mano mia madre. Un gran sbattimento. Ha smesso quando ero alle medie. L'ho supplicata di provarci ancora una volta un paio d'anni fa, ma il risultato non era all'altezza delle apsettative. È lei che ha perso la mano o son io che ho un ricordo sfalsato del sapore degli gnocchi?

Carote al burro
Le adoravo. Poi un'estate, in colonia, spazzolo la mia porzione, quelle di due amiche vicine di mensa che non sopportano le carote e chiedo il bis. Da quel giorno non ho più voluto saperne.

Nanni Moretti nella celebre scena della Nutella in "Bianca".
E comunque, che mondo sarebbe...



Nutella
A 17 anni mi venne la fissa dei polpacci grassi. Mi misi a dieta ferrea. Nei momenti di malinconia mi avvicinavo all'armadietto dei dolci, prendevo un vasetto di nutella, l'aprivo, l'annusavo e lo chiudevo. Aver perso l'olfatto (non a causa della nutella...) oggi mi impedisce anche solo di pensare di privarmene ancora per qualsivoglia regime dietetico.

Riso
Prima di cucinarlo, mia nonna lo mondava: passava i chicchi scartando quelli un po' anneriti. Non ho mai visto nessun altro farlo.

Gran Cereali Mulino Bianco
Al termine della funesta dieta dei miei 17 anni, se ne cominciavo una confezione la portavo a termine.

Babà con panna montata
Studio all'Università. La domenica lavoro in pasticceria, sforzandomi sovraumanamente di non toccare neanche un bigné. Non saprei darmi più un contegno e dopo il bigné mi farei il cannolo siciliano, poi i vol-au-vent alla crema, poi i mini croissant al cioccolato e via di seguito. Resisto fino a una domenica d'agosto. In negozio non entra un'anima. La titolare, desolata mi fa: "Roberta, ci facciamo un babà con la panna montata intorno?", al capo non si può dire di no. È stato il primo di una lunga serie.

Lesso
Tappa obbligata della cena domenicale. Passati i vent'anni mio fratello sbotta: "E basta con 'sti cibi medievali!". Mi associo.

1 commento:

  1. A casa mia il lesso era di sabato sera! Ancora oggi mio padre non se lo fa mancare! Bellissimo associare il cibo ai ricordi...se ne potrebbe scrivere un libro intero!!!!!

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