martedì 5 febbraio 2013

Se ognuno facesse il suo mestiere

Io, francamente, vado dicendolo da un pezzo questa cosa dell'etica, dell'etica del lavoro. Ogni tanto qualcuno mi ride in faccia e le motivazioni di tal reazione sono la disillusione, lo scoraggiamento e qualche volta anche quel pensiero rivelato più che da un sorrisino, da un vero e proprio ghigno che significa più o meno: ma-non-lo-sai-che-il-mondo-è-dei-furbi? E che vi devo dire, è che non fa per me. Forse è colpa di mia madre che mi ha tirato su alla vecchia maniera, con l'idea che esiste il giusto e lo sbagliato, che si devono fare le cose giuste e che si devono fare per bene. Sarà quel che sarà ma che vi devo dire io se credo che salvarsi (in questo paese) sia possibile se ciascuno facesse bene il proprio mestiere? Rischio di passare per populista o demagoga, a volte però è proprio per la paura di vedersi appiccicare addosso queste etichette che non si dice quel che si pensa, ci si autocensura.

Se siete delle persone a modo, saprete di cosa sto parlando e sono sicura avrete anche voi qualche piccolo o grande esempio di cosa NON sia etica del lavoro. Nel mio piccolo ho voglia di raccontare due banalissimi casi di persone che di fare (bene) il proprio mestiere... chissene. Due episodi accaduti qualche tempo fa che esprimono molto bene... lo spirito dei tempi, temo (e temo anche che il post Se ognuno facesse il suo mestiere avrà anche un seguito... o più d'uno).


Incendi che qualcuno prima o poi spegnerà. O no?

O’ professore

Nei giorni scorsi ne ho passate di ogni. In visita a un museo, mi imbatto in una scolaresca che ciarlava per le sale manco fosse per strada – fin qui niente di male, li ho avuti anch'io 16 anni – ad accompagnarli, un tronfio  professore che con nonchalance si accomoda in poltrona, davanti a una fotografia – senza vederla, immagino – e ride beato di riposare le chiappe mentre la combriccola strilla. "Questi ragazzi sono con lei?"- chiedo. Mi guarda come se venissi da Marte. "Dico, è lei il loro insegnante?". Quello mi guarda con aria sorpresa e fa, evasivo: "Sì, cioè… no, non sono tutti con me… alcuni sono col collega". Poiché del collega non c'è traccia, rispondo con lo zelo degno di una vecchina rompipalle: "Non potrebbe invitare i suoi studenti al silenzio? Siamo pur sempre in un museo!". Adesso che ci penso, avrei potuto aggiungere un bel "Diamine!" e tirargli un'ombrellata o una borsettata in testa, non fosse stato che ombrelli non ne avevo e le borse le tengo da conto. La scena fa certamente ridere, ma non mi leva l'indignazione, benché piuttosto bassa (sulla categoria "professori" immagino che il capitolo dedicato all'indignazione sia ben piùfornito). Epperò: ti pare, caro professore, che debba essere io a ricordarti di tenere a bada i tuoi allievi? Che risposta è ", cioè… no, non sono tutti con me… alcuni sono col collega"?
 
"Voglia di lavorare saltami addosso"
Altrimenti noto come Nonchalance
del grande John Singer Sargent
 
Personale da museo e da assessorato

Dopo la visita alla mostra passo in biglietteria a chiedere copia di un comunicato stampa. Il personale, impegnato a ridere, scherzare o mangiarsi una mela (davanti ai turisti giapponesi in fila per il biglietto), mi guarda inebetito e farfuglia che devo rivolgermi all'ufficio stampa dell'Assessorato alla Cultura (??!), che tanto sta proprio lì di fronte. Però, che efficienza! E va bene, andiamoci dall'Assessore. Alla reception, ecco una signora di mezza età che, tutta presa dalla rivista che sta sfogliando, non ha idea di dove trovare il comunicato in questione. Apre una porta per chiedere aiuto a qualcuno, intravedo tre o quattro impiegati che bevono il caffè. Uno di loro mi rincuora: "Vediamo se riesco a trovarlo sul mio pc, il comunicato". Sono sconfortata. Finisce che chiama al telefono la collega dell'ufficio stampa al momento fuori ufficio, la quale mi invita a scaricare il documento dal sito web. Cavoli, non ci avevo proprio pensato!

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