martedì 19 febbraio 2013

Doisneau, Parigi a Milano

Il concetto di flânerie avrebbe potuto essere formulato in inglese, da un poeta inglese? Wikipedia insegna che il termine fu coniato da Baudelaire e che ha a che vedere con l'avvento della modernità. Ma Londra non era certo seconda a Parigi in fatto di modernità, nell'Ottocento. Eppure, come sa bene Woody Allen che dedica all'immagine del flâneur un film intero, Midnight in Paris, è una e una soltanto la città in cui perdersi per le strade e nei pensieri, la città dove il naufragar è dolce in mezzo agli arrondissement, e la città in questione è Parigi, ça va sans dire.


Tutto ciò solo per introdurre il desiderio impaziente di visitare la mostra milanese di Robert Doisneau, IL fotografo flâneur di Parigi, in concorso di colpa nella costruzione del mito parigino che vuole la capitale di Francia fuggevole, malinconica, vitale, decadente, intrigante, promettente, in bianco e nero... nostalgica. E molto altro. E non conosco nessuno che una volta vissuta questa città abbia voluto smentire. Una delle immagini cult della Parigi firmata Doisneau è quella dei due giovani innamorati che si baciano davanti all'Hotel de Ville. Oramai lo sanno anche i sassi che la foto fu "pianificata": Doisneau assoldò due ragazzi per realizzare un servizio per Life, et voilà lo scatto che ha consegnato il fotografo alla storia.

Il bacio all'Hotel de Ville. Di Robert Doisneau, ça va sans dire!

Molto meno celebri sono alcune sue affermazioni, come quelle che ho trovato sul sito di Palazzo della Esposizioni, dove l'espozione è transitata prima di arrivare a Milano. Parole che rivelano un Doisneau ironico, che trasudano flânerie e fanno venire voglia di mettersi il cappotto - se fosse estate sarebbe un bel problema -, uscire di casa e passeggiare un po'. Poi fermarsi in un caffè, restarci qualche ora e vedere che succede. A Milano probabilmente qualche cameriere verrebbe a tampinarci per farci ordinare qualcosa da mangiare o da bere, il resto degli avventori (che parola desueta!) non ci si filerebbe manco per sbaglio, la noia (forse) vincerebbe. Prima di dire "A Parigi, però..." dovremmo provarci sul serio, a uscire e vedere che succede. Perciò segnatevi tra le cose da fare prima o poi nella vita: sedersi in un bar (o su una panchina) e aspettare. E adesso ascoltatevi Doisneau:

Ho molto camminato per Parigi, prima sul pavè e poi sull'asfalto, solcando in lungo e in largo per mezzo secolo la città. Un esercizio che non richiede doti fisiche eccezionali. Se Dio vuole Parigi non è Los Angeles e qui la condizione di pedone non è un indizio di miseria.
[...]
Un giorno, tuttavia, mi sono voluto levare la voglia di vedere la città con gli occhi dei turisti organizzati. Per cui sono salito su uno di quei pullman che sembrano delle balene sonorizzate, deciso a lasciarmi rifilare la tintinnante paccottiglia riservata alla gente che ha fretta.
[...]
Ho quindi visto la ghigliottina in una cantina del Quartiere latino, gli apaches della Bastiglia, la gigolette dalla gonna a spacco arrampicata sulle ginocchia di un membro del consiglio presbiteriale di una cittadina dell'Ohio. A Montmartre ho visto cadere a terra i reggiseni delle donne di Parigi e infine, dopo le ragazzone coperte di piume degli Champs Élysées, mi sono ritrovato sul marciapiede, completamente stordito dall'organizzazione di piaceri ai quali erano stati tolti quei preamboli che fanno perdere tanto tempo.
 
Il protagonista di Midnight in Paris. Flâneur incallito

All'indomani di quella spedizione, ho scoperto il raro lusso dell'immobilità. In una città in cui tutto è in movimento, non è semplice contrastare l'istinto gregario. Bisogna avere il coraggio di piazzarsi in un punto e di restarci immobili: e non per qualche minuto, ma per un'ora buona, magari anche due. Bisogna trasformarsi in una statua senza piedistallo, ed è buffo, in quei casi, vedere fino a  che punto si riesca ad attirare i naufraghi del movimento.

"Avrebbe mica un cavatappi?"
"Parla francese?"
 "Ha visto per caso un cagnolino bianco con un guinzaglio rosso?"
 [...]
Vedere, a volte, significa costruirsi, con i mezzi a disposizione, un teatrino e aspettare gli attori.
 Aspettare chi? Non lo so, però aspetto.
Io spero sempre, e quando uno ci crede con forza è difficile che qualcuno non finisca per arrivare.
[...] 
 mi sforzo di variare i miei itinerari per non cadere nel confort dell'abitudine, che porta alla fiacca.
So per esperienza che dalle parti del faubourgs lo spettacolo è sempre generoso. Nelle scenografie che assistono alle sofferenze umane e che mi sembrano cariche di nobiltà, i gesti della vita vengono compiuti con semplicità e i voti di coloro che al mattino si alzano presto sono commoventi. (...) non provo quasi nessun piacere nel percorrere i quartieri che non hanno mai conosciuto le barricate.
[...]
Lì la vita è invisibile, come nascosta per i suoi traffici segreti. Chiuso all'esterno, penso all'ingenua baronessa Haussmann che diceva con aria affettata: " Che strano! Ogni volta che mio marito compra un edificio, arrivano subito i demolitori! " Anche oggi si demolisce molto.
 Mi rifiuto di piangere sulle rovine.  La bellezza, per commuovere, dev'essere effimera.
Il certificato d'autenticità viene rilasciato dai bulldozer, punto e basta.
Ho visto sparire uno a  uno i miei punti di riferimento personali: il lastrico a forma di cuore davanti all'Institut, il crocifisso davanti ai gasometri di rue de l'Évangile...
[...]
Quindi la città mi sembra sempre più popolata da fantasmi.
 "Ma che cosa dice? I fantasmi ci sono sempre stati! - Si, ma quelli degli altri mi lasciano indifferente."

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