giovedì 7 febbraio 2013

Io lavoro in un buco nero


Di quella canzone di Franco Battiato, Quand'ero giovane, mi colpiscono i versi che fanno : "la domenica di pomeriggio, in quelle balere, si divertivano a ballare operai e cameriere. Era passata un'altra settimana". Poi succede che, facendo pulizia nella cartella Documenti, trovo una cosa scritta - quasi - un secolo fa, che con quei versi un po' ci azzecca. Eccola.

Io lavoro in un buco nero. Il call center di una grande compagnia assicurativa, che però non è altro che un buco nero. No, non ci costringono a turni massacranti, non ci obbligano a vendere inutili apparecchi (se per apparecchi non si intendono i risparmi della gente), possiamo andare in bagno quante volte vogliamo e concederci tutte le pause sigaretta del mondo. Ma questa è solo un trucco da poco, un tranello come un altro. Io lavoro in un luogo che risucchia il tempo, le speranze, la vita di coloro che per qualche ragione vi si trovano cinque giorni su sette, da lunedì a venerdì . Il call center è una droga, non che l’ufficio amministrativo o la contabilità  non lo siano. Ti dici che puoi smettere quanto vuoi e invece no, perché ci paghi l'affitto. O il mutuo.

Una volta che ne hai varcato la soglia, basta appena strofinare il badge alla porta di ingresso come una lampada di Aladino abortita, ed ecco che il buco nero assorbe e inghiotte nella sua voragine tutto quello che ti porti appresso. Il venerdì sera sei libero di tornare in te, di uscire, ricordarti che hai degli interessi, una passione al di fuori del buco nero, vai al cinema, ti vedi con gli amici. Al sabato fai colazione in un caffè di qualche quartiere pullulante di vita, passeggi in un mercato rionale tra i banchi di frutta e verdura. Vedi colori, gusti profumi, anche quelli della bancarella del pesce, se ti piace. Al pomeriggio cambi zona, puoi pranzare in un posticino delizioso, scattare foto ad angoli della città che altrimenti non vedresti gli altri cinque giorni. La sera vai a cena da amici, bevi vini decenti, talvolta eccellenti, scelti apposta per quello speciale e caldo convivio, ti scambi opinioni sui giornali che hai letto al mattino in quel caffè.

Scene di alienazione quotidiana (o serale)
secondo Edward Hopper

E poi è domenica. Riprendi il romanzo che avevi accantonato, lo finisci, vuoi iniziarne un altro. Magari c'è un concerto, la musica ti commuove, come le fotografie o i quadri che hai visto a quella mostra, la scorsa settimana. Puoi anche andare a far visita alla tua famiglia, ai nipotini, anche alla suocera e sederti a tavola con i parenti del tuo fidanzato per una cena d'addio al weekend e poi finire a giocare a carte: ti fa piacere vincere, e anche se perdi in fondo non conta, che l'importante è stare bene. Colazioni, pranzi cene: ti riempi la pancia di emozioni e pensieri, perfino di qualche buon proposito. Il lunedì ti aspetta dietro l'angolo, e ti accorgi che è rimasto nascosto dietro l'angolo del weekend, che come la strega di Hansel e Gretel ti ha saziato di dolci e ti ha fatto incicciottire anima e corpo per divorarti meglio fino al venerdì successivo. Metti piede al lavoro, e lui come un blob ingolla tutto quello che hai vissuto, che hai pensato, che hai provato e promesso. I colleghi sono troppo presi dalle loro di esperienze, e sanno – come te - che entro pochi minuti dovranno ingozzarsi di una pietanza più amara, le richieste e le lamentele di chi chiamerà, sono concentrati su di loro, muoiono dalla voglia di raccontarti il loro fine settimana (e non ce n'è il tempo), o forse no. Gli è già passata. Sono già stati risucchiati dal buco nero e, chi per quattro, chi per cinque, chi per otto ore, resteranno macchine – non perfette, perfettibili. Non si apriranno, non in maniera autentica, non ascolteranno quello che hai da dire, quello hai da dare, non cercheranno di darti una chance per capire chi sei. Perché non conta. Sei lì, come loro, portato da una corrente, un po' per caso un po' per volontà, intrappolato anche tu, soggetto a un incantesimo anche tu, come loro. Perché dovresti essere diverso? Cosa sei tu di speciale?


Ph. Rodney Smith

E un po' vorresti andartene e un po' no. Perché il tuo darti da fare nel buco nero ti dà uno scopo, una missione per quattro, cinque o anche otto ore al giorno, da lunedì a venerdì. Fuori sei perduto. Fuori è tutto più difficile, più complicato, più freddo e duro. Il buco nero è caldo e ti ipnotizza con un messaggio appena percettibile: "Perché te ne dovresti andare?".

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