mercoledì 28 dicembre 2011

Un nuovo Gatsby

Alla notizia ammetto di aver pensato: "OMG! Speriamo che non combini un pasticcio!". Baz Luhrmann sta girando una riduzione cinematografica de Il grande Gatsby, con Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan. Il mio timore è fondato: l'ultimo lavoro di Luhrmann visto nelle sale è stato il polpettone Australia. Baz sarà anche il papà di Romeo + Juliet e Moulin Rouge!, ma la visione di Australia – e una mia recente re-visione proprio di Moulin Rouge! -  ha suscitato in me il dubbio che che si tratti di un regista sopravvalutato. Vorrà dire che prenderò il suo Gatsby come una prova del nove per dissipare i dubbi.

Redford e Farrow nel film del 1974
Più che indurmi a fare paragoni con Robert Redford e Mia Farrow, protagonisti della versione cinematografica del 1974, le prime immagini dal set del nuovo film mi hanno invogliato a riprendere in mano il romanzo di Francis Scott Fitzgerald. Lo lessi – come indica la mia grafia adolescenziale sulla prima pagina di un'edizione tascabilissima – tra l'8 e il 9 luglio del 1999, nella traduzione di Fernanda Pivano. Pagai quel volume 5900 Lire. Einaudi ha appena rieditato questo capolavoro del 1925, sempre tradotto dalla Pivano, con prezzo di copertina 8,50 Euro. La vecchia edizione che lessi nel ’99 è piena di annotazioni, numeri di pagina cerchiati e sottolineature… l'ho adorato proprio quel romanzo!

Struggente, malinconico, tragico ed eroico il personaggio di Jay Gatsby. Costruisce ostinatamente il suo destino in direzione verticale, cercando di allontanarsi il più possibile da un punto di partenza fatto di umili origini, rinnegando il suo vero nome, James Gatz,  con un unico obiettivo: l'amore della bella, ricca (e vanesia) Daisy. Ricchezza e successo sono gli unici mezzi per raggiungerlo, restano meri strumenti. Per toccare Daisy, per averla solo per sé occorre prima salire tutti i gradini della scala sociale. Ma, proprio quando Gatsby sta sfiorando il suo sogno, tutto svanisce nel peggiore dei modi. Il destino non si costruisce esclusivamente con le proprie mani.

DiCaprio e Mulligan
nel film di Baz Luhrmann
Tra i tanti passaggi sottolineati, ne riporto due:

"I suoi genitori erano contadini fossilizzati e falliti: la sua fantasia non li aveva del resto mai accettati come genitori. La verità è che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, era scaturito da una concezione platonica di se stesso."

E poi il finale:

"Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… e una bella mattina… Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato."

Passato, futuro: oggi mi agitano sentimenti discordanti nei confronti di questo e di quello e mi chiedo se ci sia nella nostra generazione e in quelle nuove uno slancio così forte verso il futuro tanto forte da considerarlo "orgiastico". Poi penso che in fondo i tempi cambiano, ma ogni generazione conta il suo Gatsby, nutrito di ambizioni e con i suoi sogni a cui la vita fa lo sgambetto.

P.S. A proposito di passato e futuro: immagino che quando uscirà il Gatsby di Luhrmann (fine 2012, probabilmente) si avvertirà l'esigenza di riportare in auge lo stile anni Venti. il revival si presagisce già da pellicole come The Artist o Midnight in Paris, in cui il protagonista ha una vera ossessione per la Parigi di quella decade e attraverso un bizzarro salto temporale inizia a frequentare gli intellettuali dell'epoca. Francis Scott Fitzgerald e la sua Zelda in primis.

giovedì 22 dicembre 2011

Siamo quello che mangiamo

Pubblico qui un post che aveva già trovato spazio tempo addietro tra le note del mio profilo FB. Fu un intervento ispirato dalla lettura di Se niente importa. Perché mangiamo gli animali di Jonathan Safran Foer, uno straordinario mix tra un reportage giornalistico e una raccolta di memorie personali dell'autore. Grazie a quel libro - che acquistai con scetticismo, non per l'autore, ma per il tema: confinare la carne dalla propria dieta - ho imparato parecchie cose, soprattutto a dare importanza al cibo, perché davvero siamo fatti di quello che mangiamo, e non parlo solo di cellule e metabolismo. Dunque, la nota cominciava così...

Rompere la crosticina della crème brûlée. E per l'Amélie
del regista  Jean-Pierre Jeunet è subito "effetto Madeleine".
Potere del cibo...

Si può scrivere un'autobiografia passando in rassegna le pietanze che, per svariate ragioni, ci stanno più a cuore?

Purè di patate con carne trita
Nella mia testa è il piatto da mangiare quando sono malata. "Hai l'influenza? Il raffreddore? Ti senti debole? Non stai bene?" Purè con carne trita. Il purè di patate che prepara mia mamma, non perfettamente vellutato ma con qualche grumo. Abbasso i purè preparati.

Prosciutto crudo, cotto, salame
In età prescolare "realizzo" che tutti e tre derivano dal maiale. Disdegnando l'animale, finisce che disdegno anche gli affettati. Ma il cotto continuo a mangiarlo. Il crudo e il salame no. Motivo: sono rossi, evocano il sangue del maiale. Li bandisco dalla mia dieta fino ai 17 anni. Il prosciutto cotto, di un tenero rosa, mi fa tenerezza e continuo a mangiarlo.

Cervella impanate e fritte
Morbida delizia per il palato. Finché non realizzo (sempre in età prescolare) che per cervella si intende proprio il cervello della povera mucca. Depennate dai miei menu. Mi infastidisce ricordare che sì, erano proprio buone.

Minestra con cosce di rane
Ovviamente l'età è quella prescolare. Ammazzo la noia migrando nelle case dei vicini, curiosa delle loro abitudini, delle loro case diverse. Una di loro mi ospita spesso a cena: tra i cavalli di battaglia della sua cucina, la minestra ut supra. Non faccio una piega, la mangio, faccio il bis. All'epoca poco lontano da casa mia scorreva ancora quella che in milanese si chiama rungia e dentro vi abbondano rane e ranocchie. Mio nonno spesso ne catturava una e la portava a casa in un secchio, dove la osservavo affascinata e un po' schifata. Smisi di mangiare rane non perchè mi facesse senso. Iniziai a rompermi della vicina e mia madre non ha mai cucinato rane.

Rane fritte.
Delizia o raccapriccio?


Pomodori, insalata
Mio padre ha un orto. A volte preferisco la verdura del supermercato, plasticosa, finta, insapore. Mi dà l'idea che non marcisca mai (eppure lo fa eccome, il mio frigo ne sa qualcosa). E dunque non mi ricorda che anche io farò la stessa fine.

Uova sode
Ho cinque anni, accompagno mia madre a prendere mia sorella e mio fratello a scuola. Piove, siamo a piedi e la strada che porta all'istituto ha un tratto sterrato e fangoso. Al ritorno piove così forte che il cappello di tela cerata cede (o forse mi distraggo e basta) e finisco con la faccia per terra, segnandomi il naso: lacrime. Quel giorno a pranzo, in tavola ecco le uova sode.

Tortellini alla panna
All'età di dodici anni circa, mio fratello viene saltuariamente colto da voglie di tortellini alla panna verso le 22.30. Voglie che provvede a soddisfare cucinando da sé. (Non è un racconto metaforico di zozzerie preadolescenziali. Ora che ci penso, Freud le avrebbe lette proprio così)

Gnocchi
Li preparava a mano mia madre. Un gran sbattimento. Ha smesso quando ero alle medie. L'ho supplicata di provarci ancora una volta un paio d'anni fa, ma il risultato non era all'altezza delle apsettative. È lei che ha perso la mano o son io che ho un ricordo sfalsato del sapore degli gnocchi?

Carote al burro
Le adoravo. Poi un'estate, in colonia, spazzolo la mia porzione, quelle di due amiche vicine di mensa che non sopportano le carote e chiedo il bis. Da quel giorno non ho più voluto saperne.

Nanni Moretti nella celebre scena della Nutella in "Bianca".
E comunque, che mondo sarebbe...



Nutella
A 17 anni mi venne la fissa dei polpacci grassi. Mi misi a dieta ferrea. Nei momenti di malinconia mi avvicinavo all'armadietto dei dolci, prendevo un vasetto di nutella, l'aprivo, l'annusavo e lo chiudevo. Aver perso l'olfatto (non a causa della nutella...) oggi mi impedisce anche solo di pensare di privarmene ancora per qualsivoglia regime dietetico.

Riso
Prima di cucinarlo, mia nonna lo mondava: passava i chicchi scartando quelli un po' anneriti. Non ho mai visto nessun altro farlo.

Gran Cereali Mulino Bianco
Al termine della funesta dieta dei miei 17 anni, se ne cominciavo una confezione la portavo a termine.

Babà con panna montata
Studio all'Università. La domenica lavoro in pasticceria, sforzandomi sovraumanamente di non toccare neanche un bigné. Non saprei darmi più un contegno e dopo il bigné mi farei il cannolo siciliano, poi i vol-au-vent alla crema, poi i mini croissant al cioccolato e via di seguito. Resisto fino a una domenica d'agosto. In negozio non entra un'anima. La titolare, desolata mi fa: "Roberta, ci facciamo un babà con la panna montata intorno?", al capo non si può dire di no. È stato il primo di una lunga serie.

Lesso
Tappa obbligata della cena domenicale. Passati i vent'anni mio fratello sbotta: "E basta con 'sti cibi medievali!". Mi associo.

mercoledì 21 dicembre 2011

Quel che è visto è visto / Film 2011

Il film di Terrence Malick
non vuole vie di mezzo:
si ama o si odia
Chiudiamo i conti anche cinematograficamente con il 2011 con un'operazione sgradevolissima: dare i voti ai film usciti quest'anno, mese per mese, che ho visto in sala. Sgradevole perché: punto 1 vengo colta dal rimpianto di non avere visto abbastanza (e non è che ci voglia molto); punto 2 perché le pagelle sono da sole qualcosa di fastidioso. Per rimediare al punto 1, indico quali titoli val la pena recuperare. Due piccioni con una fava: in questo modo ho già un piccolo elenco di buoni propositi cinefili per il 2012.

N.B. ricordate, i giudizi sono assolutamente personali!




Gennaio
Il discorso del re: voto 7
Film impeccabile, ma qualcosa ancora oggi mi sfugge...

Che bella giornata: voto 7
Una commedia che strappa risate dall'inizio alla fine, ben ritmata.

La versione di Barney: voto 6
Un film tratto da un libro è e deve essere un'altra cosa rispetto al libro.
Questo è stato un film commovente e divertente, ma senza fuochi d'artificio.
 Il regista ha fatto bene i compiti, senza infamia e senza lode.

Hereafter: voto 7
Eastwood un po' sottotono e lento. Ma come si fa a non amare un film
che parla di morte per farti amare la vita?

Tamara Drewe: voto 6
Piacevole visione. Nulla di che.

Vallanzasca: voto 6 e 1/2
Saga appassionante di un bandito. Infastidisce la visione evidentemente "paracula"
di Placido, benché dica di non esprimere giudizio sul bel René. Sarà...

Febbraio
Il cigno nero: voto  7 e 1/2
Un film da manuale di psicologia. Ben fatto, ottimamanete recitato
ma troppo barocco rispetto a The Wrestler, sempre di Darren Aronofsky.

Il grinta: voto 6 e 1/2
I Coen lanciano un western in cui il vero Grinta è una ragazzetta di 14 anni.

Burlesque: voto 4
Imbarazzante. E ho detto tutto.

Marzo
Il gioiellino: voto 6
Film apprezzabile, ma non ricordo con lucidità molte scene.
Alla proiezione non ero ubriaca, quindi ci sarà pure un motivo.

Da recuperare: Non lasciarmi

Aprile
La fine è il mio inizio: voto 6
È sempre difficile realizzare un film "spirituale". Purtroppo ho una vena troppo cinica per lasciarmi coinvolgere dalla parabola di Tiziano Terzani. In questo caso è colpa mia.

Habemus papam: voto 7 e 1/2
Qualcuno ha detto che era un film troppo narcisista.
Perché, che altri film fa Nanni Moretti?  Chi lo ama non aspettava altro che un lavoro così.
Io ci ho visto un racconto per immagini sulla responsabilità,
sulla capacità e sul potere. E sul coraggio di dire no.

Corpo celeste: voto 6 e 1/2
La stampa italiana è andata in brodo di giuggiole per questa opera prima.
Delicata, poetica. Pure troppo.

Maggio
Come l'acqua per gli elefanti: voto 5
Ricordo di aver pensato due cose all'uscita dal cinema: zero chimica tra i due attori.
E: possibile che Hollywood non ci regali più commedie cretine
o stupidi film sentimentali con un sexy cast come Dio comanda?!
Ad averne di Top gun e Pretty Woman!

The tree of life: voto 9
Un super film. Filosofico, scientifico, intenso, emozionante.
O lo odi o lo ami. Io l'ho amato (se non si fosse capito).

Giugno
I guardiani del destino: voto 5
Sarà che non sopporto Emily Blunt, sarà che ho trovato direrse scene irritanti.
Sarà che m'è sembrato di buttare via due ore della mia vita e non mi va giù.

Four lions: voto 8
Un film che ti fa ridere di brutto, fino a venti minuti dalla fine, quando
ti rendi conto che non c'è proprio un cazzo da ridere. Chapeau.


Luglio
Harry Potter e i doni della morte II: voto 6 e 1/2
L'estate cinematografica in Italia è una stagione secca e arida.

Settembre
Drive: voto 7 e 1/2
Delicatezza e violenza convivono in un film testosteronico e romantico.
Lacrime e sangue? Ma, più che altro sangue. Tanto. Eppure...
Ringrazio il regista per avermi fatto scoprire Ryan Gosling. 

Crazy, stupid, love: voto 7
Ringrazio il regista per avermi fatto scoprire - ari daje - (la tartaruga di) Ryan Gosling.
Scherzi a parte, è una commedia brillante, densa e mai volgare né noiosa. Rarità!

La pelle che abito: voto 6 e 1/2
Apprezzo le contaminazioni con il genere horror di Almodóvar,
ma lo amo di più quando realizza affreschi di donne. Tipo Volver, insomma.

Ma come fa a far tutto?: voto 5 e 1/2
Sembra una presa in giro per le mamme che lavorano nella vita reale.
Purtroppo sono affetta da Sex-&-the-City-mania, sicché non riesco
a bocciare davvero nulla di quanto realizza quella befana di SJP.

Da recuperare: Carnage

Ottobre (mese ricchissimo!)
Jane Eyre: voto 7
Per una volta il romanzo di Charlotte Brontë  viene davvero riletto cinematograficamente!
Altro che Zeffirelli! Atmosfere gotiche e interpreti credibili. 
E qui ho scoperto Michael Fassbender. Se vi par poco... 

Amici di letto: 4
Uno dei film più brutti che abbia visto negli ultimi tre anni.
Nulla può Justin Timberlake per farmi cambiare idea.

L'amore che resta: voto 7
Atmosfere struggenti e delicatezza pungente.
Fotografia e costumi wow!

Post mortem: voto 7
Trattasi di film del 2010, ma l'ho visto solo quest'anno e valeva la pena includerlo.
Da manuale, essenziale. Direi anche: "ecco come il cinema del Sud America
arriva in Europa pronto a farci il culo".

Le avventure di Tintin: voto 7
Un bel film di animazione, anche senza il 3D, immagino.
Spielberg infarcisce il tutto con tante citazioni cinematografiche, regalando
alle nuove generazioni un motivo per appassionarsi al cinema.

Da recuperareThis must be the place
Faust + Una separazione +
 Melancholia + Tomboy

Novembre
(il mese della mia imperdonabile latitanza)
Da recuperare: Miracolo a Le Havre
Scialla! + Pina 3D

Dicembre
(il mese della mia perdonabile latitanza - causa malattia)
Midnight in Paris: voto 6
Allen manda un buona idea (quasi) in malora. Ripigliati Woodyno!
Incomprensibile la candidatura di Owen Wilson come miglior attore ai Golden Globe...

Il giorno in più: voto 6 e 1/2
Una commedia italiana di cui non ci si debba vergognare per la trasandatezza
della scenografia, dei costumi, della sceneggiatura. La sensazione
è che il regista non abbia voluto spingere troppo il pedale del romanticismo.
Peccato: è proprio quello di cui si sente la mancanza.

Da recuperare: The artist  +  Le idi di marzo

martedì 20 dicembre 2011

Quel che è letto è letto / Libri 2011


Ritratto, piuttosto sfocato, dei libri "catalogati" nel mio 2011
Eccoci quasi alla fine dell'anno. Queste sono quasi tutte le mie letture del 2011. Da sinistra a destra: Jeffrey Eugenides La trama del matrimonio, Diego De Silva Non avevo capito niente, Charlotte Bronte Jane Eyre, Milena Agus Mal di pietre, Françoise Sagan Bonjour tristesse, Rosa Matteucci Tutta suo padre, Natalia Ginzburg Le piccole virtù, William Shakespeare Giulio Cesare, Stephen King Shining, Gianni Miraglia Muori Milano Muori!, Amélie Nothomb Le catilinarie, Arrigo Petacco La principessa del Nord, Vincenzo Latronico La cospirazione delle colombe.

Ne mancano un paio, letti ma non ancora pubblicati e, ancora, due pesi massimi: Alveare di Giuseppe Catozzella e Libertà di Jonathan Franzen, che in questo momento giacciono in prestito presso terzi. Vorrà dire che ne riparlerò in separata sede. Spero di aggiornare l'elenco, visto che allo scoccare del 2012 mancano ancora un paio di settimane, giorno più, giorno meno...

E dire che nell'elenco del mio personale "da leggere" buttato giù all'inizio di gennaio, c'erano: Underworld di DeLillo, Altre voci e altre stanze di Capote, Soffocare di Palahniuk. Da recuperare nel 2012, a questo punto. Si aggiunge alla lista dei recuperi, la lista dei libri che attualmente aspettano sulle mensole della mia Billy: Il re pallido di Foster Wallace in primis, la bio di Montanelli, quella di Vallanzasca, La cucina color zafferano e Pane e acqua di rose che mi hanno regalato.

A onor del vero, debbo ammettere che dal ritratto delle mie letture 2011 manca anche un altro libro. Si tratta de Il tempo che vorrei di Fabio Volo. Che vi devo dire, ognuno ha le sue debolezze... anche in questo caso - il caso cioè del "caso Fabio Volo" - ne riparlerò in separata sede.

Io Maurizio Cattelan non riesco a odiarlo

Io Maurizio Cattelan non riesco a odiarlo. Non mi riesce di includerlo nella categoria di impostori di successo dotati di furbizia più che di talento. Certo, non credo minimamente a una sola parola di quelle che rilascia nelle sue interviste. E ha pochi degni rivali nel giostrarsi nel circo dell'arte contemporanea, fatto tanto di marketing quanto di creatività. Trovo le sue opere geniali e pazienza se quando avrò 90 anni ci ripenserò e mi darò della stupida. Immagino che a quell'età ci si dolga per ben altri dispiaceri… sicché, piuttosto, spero di dolermi proprio per il giudizio su Cattelan. Ma ora di anni ne ho molti di meno, soldi in tasca sempre pochi, ed è per questo che vorrei essere dotata di un economicissimo mezzo di teletrasporto per fiondarmi al Guggenheim di NY, dove fino a gennaio Catto-Cattelan, come lo chiamo io affettuosamente e cacofonicamente, è in mostra con "l'umilissima" retrospettiva All 

Veduta della mostra All


Il Guggenheim è uno spazio che potrebbe restare tranquillamente vuoto. Tanto brutto fuori (assomiglia in effetti a un water, date un'occhiata all'immagine qui sotto...) quanto sbalorditivo dentro. Paradossalmente, non è adatto a ospitare mostre, provate voi a guardare un quadro o una statua dal suo pavimento inclinato e poi ne riparliamo. Inclinazione dovuta alla sua celebre struttura a spirale, pensata da Frank Lloyd Wright e con la quale gli artisti come Cattelan vanno a nozze. Quella salita a spirale riempie, grazie ai suoi vuoti, l'architettura del museo ed è riempiendola delle sue opere che è stato creato il "non-percorso" espositivo della mostra All. Dal lucernario dell'edificio pendono decine di cavi, a cui sono agganciate La nona ora, l’Hitler genuflesso e tutti gli altri grandi lavori dell'artista che lasciano a bocca aperta per motivi più diversi.

Il mitico museo Solomon R. Guggenheim

Non potendo volare a NY, dovrò accontentarmi di tornare a visitare il super dito medio di Piazza Affari, altrimenti ribattezzato L.O.V.E., miracolosamente sopravvissuto ai milanesi perbenisti che - chissà - saranno talmente incazzati con la finanza da aver pensato che "quanno ce vo', ce vo'".


L.O.V.E. davanti a
Palazzo Mezzanotte

Oppure potrei comprare (farmi regalare?) il catalogo – bibbia dell'esposizione americana, edito da Skira, che ho sfogliato con soddisfazione qualche giorno fa alla libreria Rizzoli di Galleria Vittorio Emanuele. In qualunque momento potrei invece ripensare a quella volta che visitai la mostra Mapping the studio di Punta della Dogana a Venezia. In una sala c'era una serie di nove sculture in marmo di Carrara firmate da Cattelan: rappresentavano altrettanti cadaveri ricoperti da un lenzuolo. Non ci sono parole per descrivere la sensazione che ho provato in quell'istante. Terrore, attrazione, curiosità, angoscia, dolore. Tanto mi basta per perdonare ogni presunta cialtroneria a Maurizio Cattelan.


9 sculture, marmo bianco di Carrara
Courtesy of Maurizio Cattelan Archive. © Palazzo Grassi
    

venerdì 16 dicembre 2011

Arrondissement, questo sconosciuto

Poi dicono che leggere non serve a niente. Insomma, c'è questo romanzo che sto leggendo, si intitola La trama del matrimonio e l'ha scritto Jeffrey Eugenides (l'ho conosciuto quando ho letto il suo Middlesex, che - finora - vale il doppio di questo libro): uno dei protagonisti, Mitchell, dopo la laurea trascorre un anno in giro per il mondo. E già questo dovrebbe farmi star male q.b., perché ho una gran voglia di viaggiare e invece mi tocca starmene chiusa in casa con un tampone nell'orecchio (ma questa è un'altra storia). Invece mi fa star peggio il fatto che il suo viaggio abbia come prima tappa Parigi, ed è subito nostalgia, ça va sans dire! Ebbene, ditemi voi se non debba ringraziare Eugenides quando scrive:

Ci sarebbero voluti anni perché Mitchell riuscisse a capire la topografia della città, anni prima che potesse utilizzare la parola arrondissement, per non parlare poi di imparare che i quartieri avevano una struttura a spirale ed erano numerati in senso orario a partire dal centro. Era abituato alle città a scacchiera. Che il primo arrondissement potesse confinare con il tredicesimo senza che in mezzo ci fosse il quarto o il quinto gli risultava inconcepibile.

Ecco svelato il mistero degli arrondissement. Adesso mi sento un po' meno cretina per una avere mai capito un'acca della topografia parigina: Eugenides mi conferma che non è mica così lampante la struttura dei quartieri della città. Magari la prossima volta a Paris mi sentirò un po' meno "les incompetents!" (cit.).

domenica 11 dicembre 2011

Midnight in UCI Cinema.

Attenzione: post ad alto tasso di snobismo.

Io e Stefano decidiamo di andare a vedere l'ultimo di Woody Allen. Per me che ho amato Prendi i soldi e scappa, Manhattan, Io ed Annie, eccetera eccetera, è diventato un rito andare al cinema per sapere che combina il vecchio Woody, che continua a sfornare un film all'anno, seppur con risultati non sempre eccellenti. Ma a Woodino si perdona tutto, o quasi: mi mette ansia il fatto che stia girando a Roma... non vorrei me le faccia girare con certi luoghi comuni sugli italiani, anyway... 
La locandina dell'ultimo
film di Woody Allen

Eccoci, io e Stefano in una fredda sera di dicembre dirigerci nel cinema più vicino per guardare Midnight in Paris. Sfortuna vuole che la sala in questione fosse una multisala, di quelle infestate da orde di spettatori inconsapevoli, mangiatori seriali di pop corn e ingurgitatori di coca cola con rutto in canna. Caciaroni e stolti, rischi di trovarteli compagni di poltrona davanti all'ultimo di Cronenberg solo perché la sala col nuovo dei Vanzina è ormai stracolma, non ti risparmiamo un ventaglio creativo di improperi contro il regista a proiezione conclusa.

Ebbene, anche stavolta la fauna dell'UCI Cinema di viale Certosa non disattende le aspettative, ma vi pare però che oltre al carosello di cui sopra debba sopportare oltre 20-minuti-20 di pubblicità prima che inizi il film vero e proprio? Spot, peraltro in bassa risoluzione, di mobilifci e pastifici di provincia, spot di una bruttezza inguardabile, che sembrano usciti da un tunnel spazio-temporale perché non è pensabile che siano contemporanei a Steve Jobs, alla Pixar o al mio schifosissimo televisore LCD. Spot interrotti ogni tanto da trailer di film, oddio... trailer... dureranno un quarto d'ora... una selezionatissima cernita di trailer, solo di quelle pellicole che non andresti a vedere manco se ti pagassero (a meno che la sala che proietta Cronenberg sia piena.... anzi, no, neanche in quel caso) e se mai ti venisse voglia, dopo un trailer così ti passa di sicuro.

Dopo venti minuti di stupro visivo finalmente inizia Midnight in Paris. Mi sento stremata, quasi me ne tornerei a casa, giuro. Eppure, a film ultimato trovo ancora la forza per giudicarlo. Il mio spirito critico è ancora sano e salvo, ma all'UCI Cinema mai più.

venerdì 2 dicembre 2011

Ci son donne e Donne

L'intensa e inquieta Dalida
Se doveste pensare a un mito dei nostri tempi che nome fareste? Se vi chiedessero di pensare a una donna, poi, non pensereste subito a Marilyn Monroe? Anche Norma Jeane Baker è tra le protagoniste di un ciclo di incontri allo Spazio Ipazia di Abbiategrasso, insieme ad altre donne eccezionali: Mia Martini, Edith Piaf e Dalida. Pochi ma preziosi appuntamenti, condotti da Ivan Donati che con questo progetto realizza una sorta di versione "3D" della sua rubrica radiofonica Vissi d’arte vissi d’amore, sulle frequenze di RadioClassica ogni mercoledì mattina. Nelle dirette radio Donati racconta la vita di uomini e donne straordinarie per animo, sensibilità, successi e sventure, amori e dolori, ma nella rassegna abbiatense il focus è tutto al femminile.


Dopo le serate dedicate a Mia Martini e alla Piaf, venerdì 2 dicembre sarà la volta di Dalida, la settimana successiva Marilyn chiuderà il cerchio. "Le vite di queste donne sono state ricche di successi e fortune, ma altrettanto tragiche - spiega Ivan Donati -  Le loro storie partivano da premesse scoraggianti, ma ciascuna di loro ha saputo trarre dagli svantaggi e dai drammi un’occasione di riscatto e un senso aggiunto, seppur precario, alla loro vita…".


La cornice che abbraccia questi incontri è un'ulteriore attrattiva. Tutti si svolgono nella sala elegante e accogliente di Ipazia, in un edificio del '600, in pieno centro storico. Creano una rassicurante atmosfera da salotto di casa le luci soffuse, le tazze di tè caldo servite ai tavolini con i dolci fatti in casa dalle ideatrici e fondatrici dello spazio: Nunzia, Agnese, Daniela e Angela. Già anime dell'Associazione culturale Iniziativa Donna di Abbiategrasso, hanno sognato e desiderato il progetto Ipazia per anni, con determinazione e tenacia sono finalmente riuscite a realizzarlo. Quattro fiori d'acciaio, insomma, come le donne raccontate in questa breve rassegna da Ivan Donati. Forse troppo breve: speriamo allora che l'appuntamento si rinnovi con un nuovo ciclo di incontri con la vita di nuove grandi donne, magari già dalla prossima primavera.

mercoledì 30 novembre 2011

Attaccàti al tram

Un vecchio tram di Milano - Fotografia di Stefano Molaschi


Oggi ho visto un film tratto da un libro. Il titolo di entrambi è Il giorno in più e sì, l’avrete capito, è proprio quel romanzo di Fabio Volo (sì, leggo pure Fabio Volo). Il fatto è che del libro mi era piaciuta da morire la lunga descrizione dell'incontro tra i due protagonisti, un uomo e una donna sui 35. L'incontro avviene su un tram, a Milano: nel libro è un tram della linea 30, che oggi non esiste più. Nel film l'emozione di questo episodio è meno intensa rispetto al romanzo, ma la pellicola lo racconta con colori identici a quelli della fotografia che vedete qui sopra, scattata da un certo Stefano Molaschi. È un'immagine imperfetta, un po' stortina, che però mi suggestiona perché dentro ci vedo l'autunno, il legno delle sedute dei vecchi tram milanesi (sebbene non siano qui in primo piano), le signore col cappotto che vanno chissà dove, l'aria frizzantina e motivante del mattino mentre sei diretto al lavoro o quella ristoratrice della sera, quando sei in viaggio verso casa. La sensazione di avere una città – lì fuori – che aspetta solo noi. 

lunedì 28 novembre 2011

Io, tè e un buon libro / 2

Un articolo di Natalia Aspesi, Il revival delle Brontë pubblicato su Repubblica lo scorso 5 ottobre , ha posto alla mia attenzione uno dei tanti classici della letteratura che non ho letto (tutti si vantano delle proprie letture, io svelo i miei deficit. Viva la sincerità): Jane Eyre. Complice l'uscita della riduzione cinematografica del romanzo di Charlotte Brontë, si è fatto un gran parlare di quest'opera, così mi sono decisa a leggerla e qui ve la consiglio.

Pensavo a Jane Eyre come al classico polpettone assegnata da pedanti professori di liceo e accolta con sommo sprezzo degli studenti. Mi son dovuta ricredere. Da leggere e rileggere! La Signorina Eyre mi colpisce fin dalle prime pagine, quando racconta di sé, bambina, orfana ospite sgradita nella casa della perfida zia, poi segregata in un terrificante istituto dove si muore letteralmente di stenti. Il carattere indomito, l'analisi lucida di sé e del mondo, la consapevolezza della propria bruttezza (preferisco pensare a una bellezza non canonica) ma anche della propria superiorità morale, il parlar franco - e dunque sfacciato per l'epoca - rendono la "povera, oscura, brutta e piccola" Jane Eyre un personaggio femminile davvero grande. Entra nel cuore e non vuol andar via. Non voglio dilungarmi sui dettagli dell'intreccio, immagino che Wikipedia sappia accontentare ogni curiosità. Dirò tuttavia che sono d'accordo con chi ha scritto che si tratta di un romanzo indeciso tra tradizione e rivoluzione, come con chi dice che Charlotte Brontë fa sembrare una scolaretta Jane Austen, e pure con Virginia Woolf che sottolinea la sapienza dell'autrice nel tratteggiare descrizioni paesaggistiche che fungono da vere e proprie cartine tornasole dell'animo della protagonista. 

Il poster del film di Cary Fukunaga
Last but not least – anzi! – la storia d'amore tra Jane e il Signor Rochester. Lui è l'uomo più scontroso e scostante che si possa immaginare, ma nei dialoghi tra i due la tensione attrattiva e sensuale arriva alle stelle. Ogni lettrice chiude il romanzo invocando un Signor Rochester sul proprio cammino. E francamente ogni uomo dovrebbe auspicare una Jane Eyre sul suo. Non proprio un uomo tutto d'un pezzo, questo Rochester, ma con le sue debolezze, eppure un osso duro. Come del resto è la Signorina Eyre. Il che mi fa riflettere sulla scarsità di tipi del genere (Jane o Rochester che siano) che incontriamo là fuori, nel mondo reale.

Consiglio dunque le pagine di Jane Eyre (BUR per 8,5 Euro) per riscoprire il valore dell'integrità versus un mondo zeppo di meschinità e vigliaccheria. Da accompagnare con una tazza di tè Assam: intenso e vigoroso, con un leggero retrogusto di malto.

P.S. A romanzo ultimato, è d’obbligo vedere il film di Cary Fukunaga, con l’interpretazione intensa di Michael Fassbender. A proposito di personaggi che ti entrano nel cuore e non vogliono uscire più. E già che ci sono vi consiglio di dare una letta a quanto scrive sulla pellicola Mariarosa Mancuso, nell'articolo Come si adatta un classico sul n. 5 della rivista Studio.

P.P.S. La mia Brontë-mania non si fermerà qui. Come suggeritomi da una cara, carissima amica, non posso perdermi Cime tempestose di Emily Brontë. Heathcliff, a noi due!

sabato 19 novembre 2011

La dignità del cesso

Il w.c. non è esente dai dilemmi
Fare dell'ironia sul tema è anche fin troppo facile ma il wc, la tazza, il cesso, insomma quella cosa lì comunque voi siate soliti chiamarla, ha la sua dignità, eccome. Del resto, se il censimento nazionale 2011 non ce lo domanda più, fino a qualche tempo fa includeva invece anche un quesito sulla toilette, chiedendo agli italiani se ne disponessero uno all'interno dell'abitazione o meno. Mia nonna - e non era certo la sola - aveva il cesso fuori dalle pareti domestiche, in comune con quanti abitavano in cascina insieme alla sua famiglia. Avere il wc personale è uno di quei lussi scontati a cui non badiamo più. Il World Toilet Day, che ricorre oggi 19 novembre, ci ricorda che due terzi degli abitanti del pianeta non ha una toilette a disposizione, con tutte le pericolose conseguenze sanitarie che ne derivano. Insomma, si fa presto a dire "cacca" ma non è un affare di poco conto, sussiste anzi il problema della quantità di acqua impiegata per lo scarico o quella della carta igienica annessa all'uso del wc.

Ognuno si faccia le sue riflessioni, intanto per questo IX appuntamento con il World Toilet Day vi segnalo l'interessante articolo apparso a giugno su Wired Italia, intitolato La novità del cesso, e COLORS magazine, con un numero che titola Merda: un manuale di sopravvivenza. Un approfondimento sull'argomento, tra tabù ed eco-considerazioni.

PS. Proprio vero che "chi troppo, chi niente": se una bella fetta di popolazione non ne ha nemmeno uno, da Colette, il mitico store pargino, persino il wc è tecnologico, quasi spaziale. La tavoletta si riscalda a vostro piacimento e, a dire il vero,  la "barra di comando" del cesso è talmente complicata che personalmente ho avuto timore di provarla. Ho preferito "andare sul classico".

venerdì 18 novembre 2011

Vite straordinarie: Edith Piaf

Pensate, non era mai stata tradotta in italiano, solo chi conosceva il francese poteva leggere l'autobiografia di Edith Piaf. O almeno finora: l'editore Castelvecchi ha appena pubblicato in Italia Au bal de la chance, storia della vita dell'uccellino di Francia raccontata da lei medesima: 189 pagine in libreria da questo novembre al costo di 16 Euro, con prefazione di Jean Cocteau. Il testo fu edito per la prima volta nel 1958 e rivela, tra verità storiche e - presunti - voli di fantasia, l'epopea di Edith Giovanna Gassion da Belleville, quartiere poverissimo nella Parigi del 1915.

La cover del volume
edito da Castelvecchi
Non morirà povera Edith Piaf ma, nonostante il successo di una carriera sfavillante, la miseria resterà in un certo senso un'amara costante della sua esistenza. Scaricata dalla madre, un'infanzia passata in un bordello, dove riceve però l'affetto delle prostitute ma sul più bello di nuovo strappata a quella realtà bizzarra ma stabile dal padre, che la conduce per strada a raccattar monete con il suo spettacolo di contorsionista: in quegli anni di gioventù e - appunto - miseria, conta su due sole alleate, una buona e una cattiva: la musica e la bottiglia. La voce potente ed espressiva le portano successo e gloria, ma anche una sconfinata solitudine. Dopo innumerevoli tourbillon amorosi arriva l'uomo della vita, ma una tragica morte attende dietro l'angolo. E allora la bottiglia non basta più... E' ancora giovane Edith Piaf quando perde il suo adorato Marcel Cerdan ma il dolore e gli strascichi dei vizi, portatori di sollievo e consolazione illusori, presentano il conto: l'artrite le deforma le splendide mani, la incurva, i capelli si fanno sempre più radi, solo la voce resta potente, benché segnata dalla malattia. La morte la coglie quando non ha nemmeno cinquant'anni ma ne dimostra anche il doppio.

Eppure. Eppure la Môme Piaf riesce ancora oggi a trasmettere il desiderio di buttarsi a capofitto nella vita, pur tragica che sia, a consumarla avidamente, costi quel che costi. Una figura che conquista, amatissima, venerata. Edith Piaf è un po' più vicina a noi, suoi cultori italiani che ora la scopriamo più da vicino con la complicità di Au bal de la chance, nell'edizione finalmente italiana.

P.S. Caso vuole che proprio recentemente abbia partecipato all'emozionante incontro su Edith Piaf tenuto da Ivan Donati nei nuovi spazi di Tutta colpa di Ipazia ad Abbiategrasso. Un'iniziativa, questa degli appuntamenti dedicati alla vita di donne straordinarie, di cui tornerò presto a parlare...


lunedì 14 novembre 2011

Io, tè e un buon libro / 1

Appartengo al popolo degli amanti dell'autunno. Nonostante la fastidiosissima umidità e la fitta nebbia che la stagione porta con sé (almeno qui a Milano),  il mio animo si ringalluzzisce davanti alle calde tinte del fogliame nell'aria frizzantina. Mi crogiuolo al pensiero di leggere un buon libro in compagnia finalmente di una calda tazza di tè. Che poi, quando mai si ha il lusso di schiaffarsi sul divano a divorare in poche ore il romanzo del momento o quello che ci ripromettiamo di leggere da una vita? Ora che ci faccio caso, è nella caotica metropolitana o sugli affollatissimi bus e tram che mi ritaglio il tempo di intrattenermi con Shakespeare e soci, altro che il relax del salotto di casa! Ma se non capita a me, non è detto che non capiti a voi: vi propongo allora una top ten di titoli in abbinamento a una tipologia di tè, optando per la varietà che meglio si adatta allo spirito del libro, saggio o romanzo che sia. Post dopo post, vi snocciolerò in dieci tappe i miei (umilissimi) suggerimenti di lettura.


Il romanzo di Vincenzo Latronico
(Bompiani, 15 Euro)
Si comincia con un libro bello tosto, La cospirazione delle colombe di Vincenzo Latronico (Bompiani). L'autore ha studiato filosofia morale e si vede, ha 27 anni e questo invece non si vede: nel senso che con un equilibrio degno di uno scrittore ben più navigato cesella in 384 pagine una storia di amicizia e successo, amore e "rampantismo", un termine che credevo desueto e che invece tale non è. I protagonisti sono ragazzi raccontati dai loro 25 anni fino allo sforamento dei trenta e per una volta non viene fuori un'immagine stereotipata dei giovani degli anni 2000. Nel romanzo c'è spazio per la teoria dei giochi, per gli spietati meccanismi del mercato immobiliare, per la rivalsa dei figli sui padri, per la lealtà e le carognate tra migliori amici. Chi ha voglia di saperne di più può dare un'occhiata all'intervista a Vincenzo Latronico che ho pubblicato quest'estate su Milanodabere.it. Per concludere, vi dico ancora che La cospirazione delle colombe è un libro che lavora nel cervello a lettura ultimata, di quelli che non hai subito voglia di riporre sulla mensola della Billy e via, sotto un altro.

Da accompagnarsi con una tazza di tè Russian Caravan, dal sapore corposo, intenso, con uno spunto affumicato. Evitare categoricamente latte o limone, è concesso dello zucchero, poco. Non semplice al palato ma di gran soddisfazione.

martedì 8 novembre 2011

Berlino e l'ottimismo della volontà

Il film diretto da Wolfgang Becker
Mi ero preparata un pezzo sull’anniversario del crollo del muro di Berlino. Rileggendolo non credo di aver scritto fregnacce, ma taglio le mie considerazioni personali sull'evento (l'anniversario) e sull'Evento (la caduta del muro) e salto direttamente alla conclusione e parlare di un film geniale in proiezione allo Spazio Oberdan di Milano proprio la sera del 9 novembre. Good Bye Lenin! è stato girato nel  2003 e, riassumendo all'estremo la sinossi, racconta di Alex, un ragazzo che cerca di ricostruire la realtà quotidiana della Berlino Est dopo il crollo del muro: tutto per tutelare la salute della madre. La donna infatti, una fervente attivista del regime, cade in coma proprio negli ultimi giorni di Berlino Est. Al suo risveglio tutto è cambiato ed è solo l’inizio: addio muro, addio Trabant, benvenute librerie Billy by Ikea e BMW… Lo shock del cambiamento potrebbe essere fatale alla mamma di Alex e così il ragazzo, la sorella e un amico fingono che tutto sia rimasto immutato, arrivando a confezionare telegiornali fasulli e ad allestire una sorta di scenografia in cui tutto è rigorosamente comunista per illudere la donna. Le faranno credere persino che i cittadini di Berlino Ovest abbiano chiesto cittadinanza alla Berlino rossa, colti da uno slancio anticonsumista.

Good Bye Lenin! è uno di quei film che un po' ti fanno sorridere e un po' ti fanno stringere lo stomaco. Tra le tante scene memorabili, ne ricordo una che forse passa più in secondo piano, quella in cui Alex e la sua fidanzata stanno affacciati al balcone di un appartamento sfollato e che hanno occupato, facendolo diventare tutto loro. Non ricordo le battute di quella scena, ma ricordo la sensazione nel vedere quelle immagini. Una giovane coppia si affaccia su una città colta in un irripetibile momento storico: tutto è finito e tutto è da fare. È il tramonto ma è anche l'alba. Nostalgia ed entusiasmo si incontrano e non si riesce a capire dove finisce l'uno e inizia l'altro, però poi a vincere è il futuro che è lì davanti, da scrivere e da conquistare. Pare che oggi per i giovani berlinesi la città parli ancora di futuro in termini ottimisti, nel senso – si badi - di "ottimismo della volontà".

Visitai Berlino nel 2003: la città era tutta un cantiere, sembrava che da quei buchi nel terreno sgorgassero fiumi di energia. Come se quei cantieri fossero la rappresentazione fisica di un'operosità diffusa tra la gente e la città fosse un progetto in divenire, non solo architettonicamente ma umanamente. Mi piacerebbe tornarci e poi tornare a casa, a Milano, dopo aver messo in valigia quella merce rara che è l'ottimismo della volontà.

lunedì 31 ottobre 2011

Colazione con Audrey e Truman

Il bacio del finale di
"Colazione da Tiffany"
Colazione da Tiffany compie cinquant'anni. Tra i film che più hanno segnato il gusto e dettato legge in fatto di stile tra quelli proposti da Hollywood, fu portato al cinema da Blake Edwards, re della commedia USA, nel 1961. Complice una sfolgorante Audrey Hepburn in abiti Givenchy e una sceneggiatura da favola, con tanto di bacio appassionato sotto la pioggia di New York nel finale, la pellicola divenne presto cult. Torna, in occasione dell'importante anniversario, sugli schermi d'Italia in versione restaurata in digitale, grazie a Nexo Digital.

Colazione da Tiffany arriva a Milano, al cinema Arcobaleno di viale Tunisia, che lo propone per tutta la giornata di mercoledì 9 novembre, con proiezioni alle ore 15, 17.30, 20  e infine alle 22.30. Ora, lasciando che – giustamente – le ragazze milanesi si organizzino di conseguenza, con una serata consacrata a Holly Golightly comprendente aperitivo o cena pre/post visione, mi propongo (vi propongo) di sfruttare l'occasione di questo anniversario per:

"Due per la strada"
Recuperare  il romanzo di Truman Capote, anno 1958: Colazione da Tiffany si discosta per diversi elementi dalla sua "riduzione" cinematografica votata alle leggi hollywoodiane, regala cioè personaggi più ambigui e complessi di quanto non faccia il film, a partire proprio da Holly Golightly. Il libro di Capote è disponibile per i tipi di Garzanti sia in edizione rilegata (14,60 Euro) sia in versione tascabile, nella collana Gli Elefanti (9,00 Euro).

Ascoltare la colonna sonora by Henry Mancini, che include l'indimenticabile Moon River, magari nella versione rieditata dall'etichetta inglese Harkit proprio per il 50mo anniversario e disponibile su Amazon.com.


In via Bissolati a Roma
1968 Elio Sorci
© Camera Press/Photomasi
Scoprire una versione alternativa di Audrey Hepburn attraverso un dvd o una mostra. Il dvd in questione è quello di un altro film, più disincantato e diversamente godibile rispetto alla commedia di Edwards, intitolato Due per la strada. Qui la Hepburn si sbizzarrisce indossando Mary Quant e sgargianti Paco Rabanne, ma soprattutto incarna una donna complessa nel mezzo di un matrimonio (forse) al capolinea. Si tratta di un titolo un po' dimenticato, che affronta con leggerezza e onestà gli alti e bassi che forse ogni matrimonio conosce. La mostra invece è quella che Roma dedica alla diva Audrey: fino al 4 dicembre al Museo dell'Ara Pacis sono esposte oltre 100 fotografie che documentano la vita romana della Hepburn, che scelse la capitale per vivere, da moglie e madre, gli anni successivi al successo di Hollywood. Una Audrey insolita, colta nelle faccende quotidiane senza perdere niente di quell'allure che l'ha resa un'icona. E qui ci fermiamo, per non rischiare di incappare in stereotipi, così poco chic.




sabato 29 ottobre 2011

Il catalogo ritrovato

Il catalogo ritrovato.
Cover decisamente minimale
Ancora non è finito questo mio sabato, l'ultimo dell’ottobre 2011, mese foriero di alte temperature nella sua prima parte e di un principio di autunno incantevole nella seconda, complici le tonalità del fogliame milanese tra gialli oro, verdi caldi e rossi intensi. Ancora non è finito questo sabato – dicevo - ma quel che mi ha portato finora è stato grande. Il dono più prezioso della giornata è stato proprio un regalo fatto da una persona cara, carissima (<3, scriveremmo su Facebook) e cioè il catalogo di una mostra del 1972, un volume usato, pescato in una libreria in viale Coni Zugna a Milano (la Libreria Menabò, per la cronaca). Perché è speciale questo catalogo? Perché racconta un capitolo del nostro design e cioè la sua consacrazione (che brutta parola, qui però inevitabile).

Nel 1972 il MoMA dedicò un’intera esposizione al design italiano, l'evento si intitolava Italy. The New Domestic Landscape ed è questo il titolo, ovviamente, del catalogo in questione. Qualche mese fa, nella sua DesignLibrary, Valerio Castelli raccontava: "The New Domestic Landscape lanciò il design italiano nel mondo. Fu il frutto di un viaggio in Italia di Emilio Abasz, che ne fu il curatore. Era il 1971. Abasz mi chiese di fotografare gli oggetti che sarebbero entrati nel catalogo. Di fotografia in fondo non sapevo molto, ad insegnarmi fu Ugo Mulas. Grazie a quell'esperienza conobbi molto del design italiano, fu un'esperienza che mi cambiò la vita". 
La Kar-A-Sutra di Mario Bellini
Quel catalogo e quella mostra di quasi quarant'anni fa furono senza dubbio un'opportunità per sperimentare e scoprire nuovi modi di comunicare il design: oltre a scatti in atelier, vi sono allestimenti open air, come le immagini che ritraggono la Kar-a-sutra di Mario Bellini, dove si vedono attori (in realtà amici del fotografo Castelli), con i volti dipinti di bianco, interagire col prodotto. La mostra e il suo catalogo raccontarono al mondo un design antiaccademico, "radicale", frutto di coraggio, studio e perizia dei suoi fautori (Branzi, Mendini, Pesce, Sottsass e molti altri): una "primavera" del design che oggi manca molto. Sfoglio le pagine ingiallite di questo volume e spero di essere anche io, presto, testimone di una stagione simile.

lunedì 10 ottobre 2011

Officina Italia, capitolo finale con "Capitale Immorale"

Era un appuntamento che si teneva in primavera. "Era", perché quest'anno Officina Italia ha rischiato di saltare, arrivando all'autunno senza una quinta edizione, ed "era" perché ora che le date di apertura di chiusura dei lavori sono arrivate, con loro arriva anche la notizia della chiusura definitiva. Quinta e ultima edizione dunque per il festival letterario milanese: "Abbiamo deciso di terminare l’esperienza di Officina Italia perché siamo convinti dell’importanza del lavoro svolto fino ad oggi e siamo altrettanto convinti che le cose belle e interessanti siano tali solo nella consapevolezza di un percorso da terminare. In modo che tornino a circolare le idee e si aprano nuovi orizzonti di sperimentazione. Specie in questo paese, specie in questi anni.", si legge nel comunicato stampa. Una fine che ha il sapore di un nuovo inizio, il vuoto lasciato sarà prima o poi riempito da un altro progetto. Un addio che suona come un obamiano Hope!, ma intanto...
Tempo per dire addio a Officina Italia: da giovedì 20 a sabato 22 ottobre. Solito posto: la dimora storica della manifestazione, la splendida Palazzina Liberty che lambisce Parco Largo Marinai d’Italia. Il festival era nato da un'idea degli scrittori Alessandro Bertante e Antonio Scurati, che desideravano sondare l'evoluzione del rapporto tra letteratura e coloro che la letteratura la fanno, cioè intellettuali e autori, con uno sguardo volto anche verso scienza e arte. Così, dal 2007 ad oggi, alla Palazzina Liberty si sono alternati scrittori italiani impegnati a leggere brani delle loro opere ancora inedite. Negli anni, sono passati da Officina Italia Alessandro Baricco, Gabriele Salvatores, Alessandro Piperno, Paolo Giordano, Valeria Parrella, Pietrangelo Buttafuoco, Maurizio Maggiani, Carlo Lucarelli, Sandro Veronesi, Walter Siti, Tiziano Scarpa, Silvia Avallone, Vinicio Capossela, Nicolò Ammaniti, Melania Mazzucco, Filippo Timi, Michele Serra, il collettivo Wu Ming, Ascanio Celestini e Roberto Saviano.


A Officina Italia anche
l'autore di "Alveare"
Significativo il tema di questo ultimo appuntamento con la tre giorni letteraria milanese: LA CAPITALE IMMORALE. E vale la pena scriverlo in maiuscolo questo titolo, mi fa pensare a quelle persone che rivendicano con orgoglio la cittadinanza nel motore economico del Belpaese per poi dimenticarsi che "il pesce puzza sempre dalla testa", persone che si illudendo (o vogliono illudersi, o vogliono illudere) che Milano non abbia un ruolo nella crisi che vive il paese.  Milano nel presente e nell'immaginario letterario è la protagonista vera di Officina Italia – Atto Finale: "città che negli ultimi tre decenni ha vissuto una decisa crisi d’identità, smarrendo la sua originaria vocazione di metropoli aperta, accogliente e soprattutto innovativa. Ma l’importante svolta politica di questa primavera ha aperto scenari inediti e incoraggianti.".  Ancora una volta gli organizzatori invocano la speranza di un rinnovamento concreto, non solo sognato. Di seguito il programma della manifestazione.

Giovedì 20 ottobre ore 21.00
Carlo Petrini – intervento inaugurale
letture di
Giuseppe Catozzella (autore di Alveare, romanzo inchiesta sulla ‘ndrangheta all’ombra della Madonnina, consigliatissimo dalla sottoscritta e non solo, of course)
Igino Domanin
Antonio Scurati
Gianni Biondillo
Michele Mari

Venerdì 21 Ottobre ore 21.00
letture di
Federica Fracassi
Alessandro Mari
Alessandro Bertante
Giuseppe Genna
Aldo Nove

Sabato 22 Ottobre ore 21.00
letture di
Vincenzo Latronico (autore del romanzo La cospirazione delle colombe, ari- consigliato dalla sottoscritta)
Paola Capriolo
Bruno Arpaia
Antonio Franchini
Francesco Bianconi

venerdì 7 ottobre 2011

Coincindenze/1. Piccolezze made in France

Mentre il mondo ruota (o rotola?) sull'asse dell'entropia, mi permetto uno strappo sconclusionato e sognante, chiedo scusa in anticipo. Sull'onda della nostalgia per le vacanze passate in Francia, ho deciso di caricare sul mio iPod un brano della colonna sonora de Il favoloso mondo di Amélie, insieme a Je ne veux pas travailler di Pink Martini. Ora, si sa che la musica (quella buona) ha il potere di far vedere il mondo da una prospettiva diversa, con uno sguardo completamente nuovo. Metto così alla prova questi due pezzi mentre mi avvio verso il lavoro e devo dire che funzionano. Nella leggerezza che mi coglie in questo ottobre a cui l'estate si è attaccata per non andare via, salgo sull'autobus e sperimento il piacere della coincidenza. Quante volte il mondo sembra congiurare contro di noi? La legge di Murphy spadroneggia per buona parte del calendario, poi ti tocca una giornata così, dove tutto arriva al momento giusto per farti sorridere.
Un frame de "Il favoloso mondo di Amélie",
di cui tutte vorremmo essere protagoniste
Fermata dopo fermata, la musica continua, ma nel frangente silenzioso che separa un brano da un altro sul mio iPod, si insinua la voce "live" della ragazza seduta accanto a me. Sta parlando al telefonino, in francese. Mi ricordo così che devo scrivere un articolo sulla Bretagna!  Mi guardo la punta delle scarpe e - non ci avevo fatto caso - indosso proprio le ballerine rouges che un mio caro amico mi ha regalato in quel di Dinard. Arrivata al lavoro, un collega mi racconta del suo ex fidanzato che, rimasto single, è partito per un weekend a Parigi. Intanto, un'altra collega sta sbirciando online le foto paparazzate di vip in qualche bistrot parisienne. Oggi la Francia vuol farmi compagnia. Ciliegina sulla torta, noncurante della mia anosmia, il mio cervello si immagina la fragranza di una baguette calda spalmata di beurre sel, poi tocca al profumo di croissant… La sensazione è così forte che la sera, a casa, mi tuffo sull'unica pietanza d'Oltralpe disponibile in dispensa: fois gras de canard. Non lo so a cosa o a chi devo questa giornata in stato di grazia, in cui la più piccola sciocchezza mi fa felice – guarda come stanno bene i colori di quell'edera autunnale accanto al rosso quasi bordeaux della buca delle lettere, ci vorrebbe una macchina fotografica! – ma la prendo così com'è e con un sorriso dico grazie, anzi: Merci!.

mercoledì 5 ottobre 2011

Fenomenologia della proiezione stampa/1: il film strappalacrime

Presenziare alle proiezioni stampa è una faccenda complessa per diversi motivi. La visione dello struggente Restless, sul mercato italiano con il titolo L'amore che resta, nuovo film di Gus Van Sant, porta all'attenzione una delle ragioni di cui sopra: come comportarsi davanti a un film commovente quando si divide la platea con esperti professionisti, critici impassibili che mai cederebbero al fazzoletto? I registi devono essere al corrente dell'imbarazzo della situazione, perché hanno il crudele vizio di piazzare le scene più strappalacrime proprio sul finire della pellicola. Così, quando in sala si alzano le luci, tu sei ancora lì a tirare su col naso, gli occhi gonfi come zampogne, impossibile dissimulare il pianto e sfuggire allo sguardo dei professionisti di cui sopra.

Anche i critici piangono. O no?
Fino a qualche tempo fa mi avviavo all'uscita coprendomi il viso (e la vergogna) con i capelli, ora – complice il taglio corto - mi trattengo stoicamente fino all'auto (sempre che non sia in metro, allora il problema si fa serio) e mi libero sul sedile del guidatore col favore delle tenebre (se la proiezione si tiene la sera, sennò... ci siamo capiti). Ora, al cinema non sono certo l’unica a piangere tra i rappresentanti della stampa presenti, però io e quelli della mia specie non siamo nemmeno in tanti. Mi domando allora: perché? L'atteggiamento distaccato del critico agevola davvero il suo mestiere? Il critico più cinico è anche il più bravo? Sarà forse che la visione di centinaia di film fa indurire gli animi? Ma che senso ha andare al cinema con il freno a mano dell'impassibilità tirato? Con questi pensieri sguscio fuori dal cinema Palestrina in una sera di ottobre insolitamente calda, supero una coppia di giornaliste e le odo sentenziare sul regista: "Melenso… Patetico… Gioca pure a fare l’alternativo!". Ma i critici un cuore ce l'hanno? E se ce l'hanno, ogni tanto si ricorderanno di portarlo al cinema?

lunedì 26 settembre 2011

Lisson Gallery e il mito dello straniero

L'arte contemporanea appare spesso come una nebulosa, che in Italia tende ancor di più a intricarsi. Anche in questo ambito avverto serpeggiare la sensazione che 'all'estero lo fanno meglio'. In tempi in cui è dura affacciarsi al mondo gridando fieramente "Sono italiano", mi sembra che lo straniero diventi mito o eroe a prescindere (a meno che non sia pronto a sbarcare sulle italiche coste da qualche carretta del mare, chiaro). Insomma è così che davanti alla notizia dell'apertura di una galleria londinese di grido proprio nella nostra Milano,  reagisco pavlovianamente con un "Sogno o son desta?".

Lisson Gallery: veduta dal giardino interno 
Giunta nell'estate, la lieta novella dell’apertura di una succursale della Lisson Gallery si concretizza il 15 settembre dell'Anno del Signore 2011. Con nomi quali Tony Cragg, Marina Abramovich e Anish Kapoor in scuderia, è logico che si colgano stupore e tremori (d'emozione o di timor reverenziale, fate voi) al taglio del nastro dello spazio di via Zenale, là dove Nicholas Logsdail, patron della Lisson, ha deciso di incastonare  il suo gioiellino espositivo. Perché di gioiellino si tratta: adiacente a Palazzo degli Atellani, a due passi dal Cenacolo vinciano, l'edificio che risale al 1901 gode di uno splendido giardino privato, messo a disposizione dalla famiglia Castellini che vi dimora, per posizionarvi installazioni e sculture in formato maxi.

Perché Milano? Più che dare una risposta precisa, Mr. Logsdail ci gira intorno: svela il desiderio a lungo covato di trovare una base per la sua galleria nel cuore dell'Europa, il girovagare a destra e a manca per scovare il posto giusto e l'irripetibile incanto suscitato dalla scoperta del palazzo di via Zenale; prosegue rimarcando l'assenza (fino ad oggi) di gallerie straniere sul suolo milanese, per arrischiarsi su terreni scivolosamente stereotipati nel constatare che "Milano è la capitale della finanza, dell'economia, del design, della moda". Evidentemente tali elementi messi insieme hanno decretato la nascita di una Lisson Gallery milanese.


Spencer Finch:
Sky over Coney Island
2004
Dunque benvenuti cari re magi british dell'arte, cosa ci portate in dono? La mostra inaugurale, per esempio. Intitolata I know about creative block and I know not to call it by name è curata dall'artista Ryan Gander. Una miscellanea della produzione dei nomi patrocinati dalla galleria, una collettiva tutta orientata a raccontare l'atto creativo dell'opera d'arte. Gander stesso spiega a mezzo comunicato stampa: "Spesso l’ispirazione appare proprio quando ci fermiamo e ci allontaniamo, facciamo un giro in macchina (…) mettiamo su un disco e ci prepariamo una tazza di tè – in quei momenti in cui permettiamo al mondo di entrare in noi – ed è in quei momenti che la polvere magica inizia a scendere". Non sarà tutto qui, voglio umilmente sperare. Allora ecco che, del percorso espositivo, mi annoto la fanciullesca installazione di Spencer Finch, un grumo di palloncini sospesi intitolato Sky over Coney Island: divertente ed evocativa. Mi aggiro ancora per le bianche, immacolate sale della galleria, sono già in metropolitana quando, rileggendo il comunicato stampa della mostra, scopro l'opera di Cory Arcangel che consiste nella profumazione del comunicato stampa stesso: avvicinatelo al naso e sentirete la fragranza per il corpo Lynx, commercializzata in UK. Arrivato il tramonto, il sentore svanisce. Opera d'arte decisamente aleatoria, come – sempre umilmente – mi duole constatare sia l'esposizione inaugurale di questo nome altisonante dell'arte contemporanea.

Mr. Lisson sei venuto da lontano, hai fatto tanta strada e per stavolta ti perdono, ma la prossima volta per piacere stupiscimi con qualcosa di più della tua mera presenza all'ombra della Madonnina.

martedì 6 settembre 2011

Avremo sempre Parigi

Henri de Toulouse Lautrec
"Divan Japonais" 1893
Nella stagione espositiva appena inaugurata, due grandi mostre – una terra di Emilia, l'altra in quella di Romagna – si legano da un fil rouge che conduce a Parigi.
La Fondazione Magnani Rocca di Parma (Mamiamo di Traversetolo è il luogo preciso) ospita gli affiches di Henri de Toulouse Lautrec, restituendo l'atmosfera della Parigi della Belle Époque, popolata da ballerine, borghesi licenziosi e habitués dei cafés.
Nel ferrarese Palazzo dei Diamanti si respira invece il clima parigino degli Anni Venti. Schiacciati tra i due grandi conflitti del secolo scorso, sono anni estremamente prolifici dal punto di vista creativo, che eleggono Parigi coacervo di correnti artistiche d'avanguardia. Reagendo alla crisi economica, agli orrori della Grande Guerra, al senso di oppressione che impedisce di scorgere un orizzonte sereno, gli artisti si muovono spinti dalla ricerca di mondi diversi, forse anche d'evasione, esprimendo punti di vista inesplorati e fino ad allora mai tentati. L'aria si fa frizzante per gli artisti che giungono nella capitale francese. Attraverso incontri e influenze reciproche, il continente, ancora inconsapevole, assiste alla nascita di correnti come il cubismo o il surrealismo, ma anche ad artisti "battitori liberi" come Modigliani o Chagall.

Se la mostra di Parma si concentra sul legame tra le opere (antesignane delle moderne pubblicità) di Toulouse Lautrec e la grafica giapponese, lasciando la Montmartre di fine Ottocento sullo sfondo (ma che sfondo), l'esposizione di Ferrara parla - attraverso le opere di Picasso, Matisse, Le Corbusier, Dalì, Leger, Mondrian e molti altri – di un momento critico del secolo scorso, in cui lo slancio vitale venne perpetuato da artisti visionari, la cui temerarietà è stata premiata dal tempo.

L'autunno/inverno artistico 2011-2012 è agli inizi e sono giorni in cui le parole "crisi" e "default" si rincorrono tra tg e quotidiani, a ricordarci gli equilibri precari su cui si regge lo stile di vita occidentale. Possiamo permetterci di sperare che da qualche parte, magari anche a Milano dove vive la sottoscritta, si incontrino persone che credano in una alternativa, in grado di vivere un fermento contagioso che non abbia il colore bigio delle prospettive dello scenario in cui ormai da un pezzo ci muoviamo? Se non altro, per poter dire ancora "Avremo sempre Parigi".