Non avrebbe avuto tutti i torti di dolersi, la cara Nanda, visto che, tanto per cambiare, l'eredità è finita in bisticci, incomprensioni, con un unico risultato certo: la mancata catalogazione del Fondo Pivano e dunque anche la mancata possibilità di consultare, in un luogo deputato, i preziosi titoli e materiali che compongono questo fondo.
La sensazione è di déjà vu. Sembra si ripeta la vicenda del Fondo Pontiggia: invano il grande scrittore aveva tentato di donare i suoi libri alla città di Milano, ricevette solo picche e finì che, a morte avvenuta, parte del fondo fu comprata da un magnate che ne traghettò parte in Svizzera. Rientrato tempo fa in Italia, del fondo ad oggi nulla si sa: catalogato, non catalogato? Prossimamente accessibile, come da volontà di Giuseppe Pontiggia, magari presso la Beic, il cui progetto arranca? Chi lo sa.
A far la differenza, nel caso Pivano, sono le accuse scambiate a mezzo stampa dalle parti in causa. Lanciate prima da Luciano Benetton (che parla chiaramente a nome della fondazione omonima), seguita dalla replica di Michele Concina e di nuovo da un intervento di Benetton, il tutto dalle pagine del Corriere della sera.
Ora, sarà forse colpa di qualche mio pregiudizio nei confronti di ricchi e potenti, ma in tutta questa storia a non convincermi è il ruolo della Fondazione Benetton: che preme sì sulla necessità della catalogazione, ma che certo non sembra tendere la mano a Concina. Basterebbe forse proporre di portare a Milano i lavori di catalogazione del Fondo Pivano, anziché spostare i volumi e le carte a Treviso, dove vi è ha appunto la sede della fondazione dell'imprenditore veneto.
Ettore Sottsass e Fernanda Pivano in una bella fotografia esposta nella mostra di Palazzo delle Stelline a Milano |
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