lunedì 26 settembre 2011

Lisson Gallery e il mito dello straniero

L'arte contemporanea appare spesso come una nebulosa, che in Italia tende ancor di più a intricarsi. Anche in questo ambito avverto serpeggiare la sensazione che 'all'estero lo fanno meglio'. In tempi in cui è dura affacciarsi al mondo gridando fieramente "Sono italiano", mi sembra che lo straniero diventi mito o eroe a prescindere (a meno che non sia pronto a sbarcare sulle italiche coste da qualche carretta del mare, chiaro). Insomma è così che davanti alla notizia dell'apertura di una galleria londinese di grido proprio nella nostra Milano,  reagisco pavlovianamente con un "Sogno o son desta?".

Lisson Gallery: veduta dal giardino interno 
Giunta nell'estate, la lieta novella dell’apertura di una succursale della Lisson Gallery si concretizza il 15 settembre dell'Anno del Signore 2011. Con nomi quali Tony Cragg, Marina Abramovich e Anish Kapoor in scuderia, è logico che si colgano stupore e tremori (d'emozione o di timor reverenziale, fate voi) al taglio del nastro dello spazio di via Zenale, là dove Nicholas Logsdail, patron della Lisson, ha deciso di incastonare  il suo gioiellino espositivo. Perché di gioiellino si tratta: adiacente a Palazzo degli Atellani, a due passi dal Cenacolo vinciano, l'edificio che risale al 1901 gode di uno splendido giardino privato, messo a disposizione dalla famiglia Castellini che vi dimora, per posizionarvi installazioni e sculture in formato maxi.

Perché Milano? Più che dare una risposta precisa, Mr. Logsdail ci gira intorno: svela il desiderio a lungo covato di trovare una base per la sua galleria nel cuore dell'Europa, il girovagare a destra e a manca per scovare il posto giusto e l'irripetibile incanto suscitato dalla scoperta del palazzo di via Zenale; prosegue rimarcando l'assenza (fino ad oggi) di gallerie straniere sul suolo milanese, per arrischiarsi su terreni scivolosamente stereotipati nel constatare che "Milano è la capitale della finanza, dell'economia, del design, della moda". Evidentemente tali elementi messi insieme hanno decretato la nascita di una Lisson Gallery milanese.


Spencer Finch:
Sky over Coney Island
2004
Dunque benvenuti cari re magi british dell'arte, cosa ci portate in dono? La mostra inaugurale, per esempio. Intitolata I know about creative block and I know not to call it by name è curata dall'artista Ryan Gander. Una miscellanea della produzione dei nomi patrocinati dalla galleria, una collettiva tutta orientata a raccontare l'atto creativo dell'opera d'arte. Gander stesso spiega a mezzo comunicato stampa: "Spesso l’ispirazione appare proprio quando ci fermiamo e ci allontaniamo, facciamo un giro in macchina (…) mettiamo su un disco e ci prepariamo una tazza di tè – in quei momenti in cui permettiamo al mondo di entrare in noi – ed è in quei momenti che la polvere magica inizia a scendere". Non sarà tutto qui, voglio umilmente sperare. Allora ecco che, del percorso espositivo, mi annoto la fanciullesca installazione di Spencer Finch, un grumo di palloncini sospesi intitolato Sky over Coney Island: divertente ed evocativa. Mi aggiro ancora per le bianche, immacolate sale della galleria, sono già in metropolitana quando, rileggendo il comunicato stampa della mostra, scopro l'opera di Cory Arcangel che consiste nella profumazione del comunicato stampa stesso: avvicinatelo al naso e sentirete la fragranza per il corpo Lynx, commercializzata in UK. Arrivato il tramonto, il sentore svanisce. Opera d'arte decisamente aleatoria, come – sempre umilmente – mi duole constatare sia l'esposizione inaugurale di questo nome altisonante dell'arte contemporanea.

Mr. Lisson sei venuto da lontano, hai fatto tanta strada e per stavolta ti perdono, ma la prossima volta per piacere stupiscimi con qualcosa di più della tua mera presenza all'ombra della Madonnina.

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