lunedì 31 dicembre 2012

Quel che è letto è letto / Libri 2012

Ritratto - sfocato tanto quanto quello omologo del 2011 -
delle letture del mio 2012
Tu sei quello che leggi! A guardare i libri sfogliati, letti con attenzione e con amore (titolo più, tiolo meno) in quetso 2012 non si direbbe sia stato l'anno in cui presi marito: vero è che l'impegno dei preparativi e la voglia di far niente a un mese prima del sì hanno falcidiato le mie letture estive (agosto e settembre sono stati mesi aridi, aridissimi. Me l'avessero annunciato nel 2011 non ci avrei mai creduto), ma sono stata abbastanza brava da evitare qualsivoglia manuale della giovane sposa. O della sposa e basta.

Bando alle ciance: se non riusciste a decifrare i dorsi di copertina qui sopra immortalati, sappiate che il mio 2012 è iniziato con una lettura un po' didattica, cioè con Nelle ombre di un sogno. Storia e idee della fotografia di moda (Bruno Mondadori) di Claudio Marra, molto interessante e istruttivo, per niente noioso. Poi sono passata alla autobiografia di Diane Keaton, Oggi come allora, ma questo già lo sapete. Le bio dell'anno non sono finite qui, perché poi è stato il turno di Edith Piaf (Au bal de la chance). Diana Vreeland (DV) e Andre Agassi con il suo mitico Open che ha scalato le classifiche per tutto il corso del 2012, strameritatamente - secondo me.

In mezzo sono passate vecchie conoscenze come Amélie Nothomb (Uccidere il padre) o recuperando vecchie, vecchissime uscite di un certo successo come Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (tanto promettente al principio, quanto deludente alla fine, lasciatemelo dire), Diveded Kingdom che mi ha fatto scoprire di essere Sanguigna (avrei detto Malinconica, va a sapere), e il fu Premio Strega Storia della mia gente di Edoardo Nesi che mi ha fatto venir voglia (ancora di più) di piangere del presente.

Dopo essermi innamorata di Jane Eyre in coda al 2011, ad aprile ho letto finalmente Cime tempestose, come mi ero ripromessa. Mi dispiace molto per le sostenitrici di Emily Brontë, ma l'eroina di sua sorella Charlotte resta senza pari. Quell'Heathcliff mi dava tanto ai nervi da ossessionare le mie colleghe, le quali carinamente mi sfottevano: "Allora, l'hai finito Cime di rapa?". Poi mi sono concessa anche la lettura del postumo di Francis Scott FitzgeraldGli ultimi fuochi, uscito con una nuova traduzione e (orrore) nuovo titolo: L'amore dell'ultimo milionario, con una copertina talmente brutta da farlo sembrare un romanzetto per signore. Ma Fitz è sempre lui, persino in un romanzo postumo. Ergo: buon proposito per il 2013 è leggere finalmente Tenera è la notte, l'ho comprato nel 1999 ed è ancora vergine. Shame on me!

All'appello mancano L'attimo in cui siamo felici, un delizioso campionario della felicità secondo la gente comune - vera o fittizia - raccolto da Valerio Millefoglie, poi Dio la benedica, dottor Kevorian di Vonnegut (memo per il 2013: più Vonnegut, pù Vonnegut!) e una mini raccolta di articoli scritti da Françoise Sagan intitolata Il tubino nero: delicato ma sarcastico, ti fa incontrare un mucchio di persone che avresti voluto conoscere, Yves Saint Laurent, Peggy Roche, Bettina Graziani. Ultimo, ma non ultimo, Una certa idea di mondo, che mette insieme quelli che per Alessandro Baricco sono stati le sue più belle letture (romanzi, saggi, bio) degli ultimi 10 anni. Se non sapete cosa leggere nel prossimo anno, ripartite da lì.

venerdì 28 dicembre 2012

Quel che è visto è visto / Film 2012


Come già nel 2011, agli sgoccioli dell'anno faccio il punto sulle mie visioni cinematografiche trascorse. Un'operazione che un po' (mi) diverte e un po' (mi) restituisce l'immagine della spettatrice che sono. Tenuto conto che alcuni film sono stati visti in proiezione stampa, diciamo... per dovere va', privilegio che talvolta può essere un sogno, talvolta una penitenza... Prima di cominciare, qualche noiosa puntualizzazione: i film sono divisi per mese di distribuzione, non di effettiva visione. Molti titoli infatti sono stati visti in autunno all'amato Cineforum Bareggio, mentre nessuno è stato visto in tv (con un'eccezione), nessunissimo è stato scaricato. E non lo dico per pararmi le chiappe ma perché i film si vedono rigorosamente al-ci-ne-ma. In tv è tutta un'altra storia... In ogni caso, ricordate: i giudizi sono assolutamente personali!


Gennaio
J. Edgar: voto 6 
L'annata inizia con una certa pesantezza (nel senso negativo del termine).
Le biopic di personaggi controversi mi intrigano, ma dal forno di Eastwood stavolta esce un polpettone bell'e buono. Burp!

Shame: voto 6 e 1/2
Va bene che c'è Michael-Tanta Roba- Fassbender, ma qui il troppo stroppia.
Visto un paio d'ore prima del primo appuntamento con il corso per fidanzati della parrocchia. Azz!
 
La talpa: voto 7 e1/2 
Un amico su Facebook mi ha scritto che del regista Tomas Alfredson vedrebbe qualsiasi cosa, anche eventuali filmini della prima comunione purché da lui girati. L'amico in questione ha ragione.
 
The help: voto 6/7
Decisi di andare a vederlo al Mexico, dopo una giornata lavorativa sciatta. Beh, fu l'unica cosa buona della giornata. Attenzione però: alto tasso di retorica.

L'arte di vincere: voto 7
Brad Pitt fa il perdente anche quando gli riesce di vincere. La sua bimbetta è una cantautrice in erba che scrive questa adorabile canzone. Incoraggiante, struggente, di basso profilo. Ci piace.

The Iron Lady: voto 7
La Thatcher è una stronza, Phyllida Lloyd pure, che mi fa piangere raccontandomi la storia di 'sta stronza epica.

I recuperati (al Cineforum)
This is England. Pesante: nell'accezione positiva del termine. La violenza: come e perché. E perché non (ci) dovrebbe essere.

Febbraio
Hugo Cabret: voto 7 e 1/2
Parigi, il 3D con un senso, la magia del cinema e dei sogni.
Martin Scorsese in forma. Altro?

... E ora parliamo di Kevin: voto 7 e 1/2
Un pugno nello stomaco, immagini che ti porti dentro per un pezzo. Odio atavico, amore atavico, tutta la caducità dell'essere umano e la potenza del cinema.
Quello che ho scritto non ha senso: dovete vederlo. 

Paradiso amaro: voto 7 e 1/2
Clooney cornuto e goffo alle Haway, qui in versione "non da cartolina". Per qualcuno è la regia perfetta, fate vobis. Ma il ritmo è un po' così.

Un giorno questo dolore ti sarà utile: voto 6
Se avessi avuto 14 o 15 anni ne avrei avuto sicuramente un'altra opinione.
Migliore, credo.

Quasi amici: voto 7
Grasse risate, qualche lacrima. Grande commedia. Un film paraculo.

Da recuperare: Cesare deve morire

I recuperati (al Cineforum) Miracolo a Le Havre, molto acuto. Resta il fatto che devo praticamente obbligarmi a vedere i film di Kaurismaki. Le idi di marzo, ovvero: se il Giulio Cesare di Shakespeare è ancora attuale c'è di che disperarsi per il genere umano... bravo Georgino Clooney.

 
Marzo
Young adult: voto 6/7
Jason Reitman prende la storia di Juno e la capovolge: là una ragazzetta più grande della sua età in un mondo di adulti rinko, qui una trentenne mai andata oltre il liceo. Ottima Charlize Theron.

E' nata una star?: voto 6
Non mi ricordo granchè tranne il bel villaggio alle porte di Torino dove era ambientato. Tema spinoso trattato con cura da sceneggiatori e regista che mai lo fanno scadere nel volgare.

Romanzo di una strage: voto 7
Per quelli della mia generazione è da vedere, per far memoria e non solo. Per chi c'era... anche.

Il mio migliore incubo: voto 5
Isabelle Huppert si fa dare del "culo rinsecchito", per il resto.. Isabelle, che ci fai lì?!

Aprile
Piccole bugie tra amici: voto 6
Commedia che vorrebbe ma non può. Lunga, lunghissima, in-fi-ni-ta.

Bel Ami: voto 5
Il farabutto di Maupassant meritava più di Robert Pattinson. Punto.

George Harrison: living in the material world: voto 7
Lungo, lunghissimo, in-fi-ni-to doc. di Martin Scorsese,
che riesce nel tentativo di farvi innamorare di G.H., nel caso non lo foste già.

Hunger: voto 7 e 1/2
Aridaje Michael-Tanta Roba-Fassbender. Se penso a questo film mi viene in mente una farfalla: elegante, dosata, bella da guardare. Bravò al regista.

Da recuperare: Diaz (quando ne avrò il coraggio)

Maggio
Hunger games: voto 6/7
Il principio di una saga cinematografica che potrebbe conquistarmi (finalmente!).

Sister: voto 6 e 1/2
L'ho trovato un pochino... manieristico. Il problema in realtà è che è il tipico film che mi fa venire il mal di pancia dall'ansia. Problema mio
 
Margin Call: voto 6
Wall Street sulla via della redenzione. Troppo tardi.

Molto forte, incredibilmente vicino: voto 7
La storia acchiappa, lacrima facile, pure troppo.
Von Sydow impagabile, Sandra Bullock evitabile.

Giugno
Love & secrets: voto 5
Mio dio! Non ci ho dormito la notte!
Come avete osato prendere Ryanino Gosling e trasformarlo in un pazzo psicopatico?!
E che si veste da donna!!!

Adorabili amiche: voto 3
Un mio amico, seduto a fianco a me alla proiezione, l'ha definito "Il bello delle donne. Al cinema". Che è peggio, aggiungo io. Jane Birkin nel cast: ma perché??!

Da recuperare: Marylin, W.E. (ne sono assolutamente curiosa),


Luglio
The way back: voto 7 e 1/2
L'Odissea dell'Uomo nella Storia. La natura è tra i personaggi principali. Vedetelo!

La memoria del cuore: 5
Come si fa a non pensare a... Gli occhi del cuore?!
E c'è pure Channing-Bisteccone-Tatum, il sex symbol del futuro. Ma Per Favore!

Agosto
Il Cavaliere Oscuro: il ritorno: voto 5 e 1/2 
Batman fa a a cazzotti come neanche la premiata ditta Bud Spencer - Terence Hill,
Anne-gatta morta-Hataway ha le gambe rotanti di 360°. Uscirete dal cinema desiderando ardentemente una moto. E con tanta nostalgia di Heath Ledger.

Settembre
Che cosa aspettarsi quando si aspetta: voto 5 e 1/2
Aspettatevi tanti luoghi comuni sulla gravidanza.
 
Da recuperare: Woody
(Maestro perdonami, ero in viaggio di nozze al momento dell'uscita del doc. nelle sale
e al mio ritorno già spariva dalle medesime...)

Ottobre
Skyfall: voto 7
Quanto mi piace questo nuovo ciclo di Bond!
Le rughe della vecchia M mi mancheranno da morire...
 
Da recuperare: Un sapore di ruggine e ossa + Cogan + Io e te + Amour

Novembre
Hotel Transylvania: voto 5
Mio nipote ha sei anni.
E grazie a lui ho testato la differenza tra i film di animazione Pixar e quelli che no.

Paris-Manhattan: voto 6
Commedia senza pretesa per donnette romantiche. Da vedere da sole o accompagnate da amiche in vena di romanticismi senza arte né parte. Sapevatelo!

E la chiamano estate: voto 3
Il capolavoro trash da guardare con gli amici. Preferibilmente sbronzi.

Di nuovo in gioco: voto 5 e 1/2
Eastwood recita nel film del suo pupillo. Recita la parte del vecchio burbero: ma va'?
 
Da recuperare: Argo + 7 Psicopatici + Acciaio +
 La sposa promessa + Ali ha gli occhi azzurri + Il sospetto

 
Dicembre The Grey: voto 5
Un film che ti lascia addosso la paura dei lupi è già qualcosa. O no? 
 
*Mio dio, davvero non ho visto altro, questo mese?!
Ah, no: al Cineforum ho visto finalmente Una separazione: il caos della vita portato al cinema, da vedere e rivedere che c'è sempre da da imparare.
E poi, ecco l'eccezione, in tv ho visto The Beginners: un film delizioso, in cui dolore e amore si mescolano strizzando l'occhio a certa estetica... indie, passatemi l'espressione. Va' a sapere se il grande schermo lo avrebbe esaltato o tutto il contrario.
 
Da recuperare: Moonrise Kingdom + Diana Vreeland l'Imperatrice della moda

giovedì 27 dicembre 2012

Il Natale dopo Natale (e prima)

Natale, Natale. Io lo amo, anzi no lo odio. Mi fa schifo, l'adoro, che orrore! Non vedo l'ora che passino 'ste feste.... Se ne sentono di ogni, a riguardo di questa festa tanto amata da piccini, per poi essere dileggiata quando si diventa grandi.

La morte dello spirito natalizio

Mai come quest'anno ho avvertito poco lo spirito natalizio (che, a mio avviso, consta di: una particolare sensibilità e predilezione alla comprensione, al perdono, alla gentilezza, a una sana leggerezza), salvo poi recuperarlo in zona Cesarini alla Vigilia. Meno male! Perché, qui lo dico e qui lo dico, credo che l'odio, l'indifferenza o l'insofferenza per questa festività sia sintomo di qualcosa che non va. Motivi per temere il 25 dicembre ce n'è più di uno: le tavolate pantagrueliche, dove sei il numero uno se ti ingozzi di cibo al limite della nausea; ci tocca sopportare (per un giorno uno, che pare infinito) i parenti che non sopportiamo mentre gli amici più cari sono lontani e difficilmente si riuscirà a incontrare perché Natale con i tuoi, e poi l'ansia da prestazione del regalo, eccetera eccetera... Però, però. Però resto convinta che l'odio per questa giornata sia il segnale di uno spirito che ha perso la speranza, che crede o - peggio - a cui non importa credere che ci sia una luce. Una luce che persista e resista tenacemente accesa, seppure circondata ogni giorno di più dall'oscurità e dalla tenebra.



Per me, che sono cattolica, il Natale è il Natale di Gesù, è il giorno in cui la speranza vede la luce e si concretizza, è l'inizio di una storia di salvezza, è l'invito ad alzare lo sguardo oltre il muro di brutture, di squallore che insozza la nostra quotidiana realtà e puntare a un orizzonte differente: limpido, vivace, migliore. Illusorio, dirà qualcuno. Io credo di no, e credere vol dire avere fede, vi auguro e mi auguro di avere e mantenere fede in quell'orizzonte lì. Questo è il mio augurio, o il mio pippotto del 27 dicembre. Perché proprio il 27 di dicembre e non il 25 stesso? Perché Natale dovrebbe essere tutto l'anno, almeno 5 minuti al giorno. Auguri!

domenica 23 dicembre 2012

Un inutile post... post - fine del mondo

Sono stata stritolata dalla morsa della vita moderna, e la fine del mondo tanto paventata s'è risolta in un nulla di fatto (espressione che, non riesco a fare a meno di ricordare quando la uso, era solita di Mike Bongiorno in una trasmissione dimenticata, Bis!), lasciandomi con: stati febbrili, stress a palla, blog poco o niente aggiornato. Eppure vi dovevo dire un mucchio di inutilissime cose!


GBG davanti a una delle sue fotografie,
forse una tra le più note

Per esempio che Gianni Berengo Gardin si è portato a casa un bell'Ambrogino d'oro lo scorso 7 dicembre, che ebbi il piacere di intevistare oramai un bel po' di tempo fa. L'intervista la leggete qui.

Franco Trentalance
Vecchie conoscenze "mediatiche" ritornano: alla Grande Sfida di inizio dicembre non ho visto soltanto del gran bel tennis, ma ho rivisto il protagonista di una delle mie interviste più sorprendenti quella a Franco Trentalance- e so già che si sprecheranno i doppi sensi. In ogni caso, la sua bio Trattare con cura è stata davvero una bella lettura, la cui pubblicazione fu la scusa per incontrarlo davanti a un caffè, io in compagnia del mio amico Ivan, ne nacque una conversazione che - ricordo - spaziò dal Vangelo al mondo del porno ai tempi di YouPorn, alle donne milanesi a... potete immaginare. Beh, insomma, è una piacevole lettura, ve la consiglio, in particolare l'apparato finale, dove vengono riportate le recensioni di Francuzzo alle scene di sesso dei film più famosi. E allora? E allora niente, prendete casomai questo pezzetto di post come un personale e tardivissimo omaggio alla memoria del fu Riccardo Schicchi. E se non vi basta, pazienza.

mercoledì 12 dicembre 2012

Vestiamoci bene, si va al cinema (con Diana)

Mentre Milano frigge di atmosfera natalizia nonostante il termometro a meno quattro, mentre la rete rimbalza tweet-post-news sull'imminente fine del mondo, il mondo stesso va avanti. E ogni tanto stupisce e sorprende. Con piccole cose, ça va sans dire, come il docu-film su Diana Vreeland appena entrato nel circuito delle sale cinematografiche, destinato a restarci per pochi, pochissimi giorni. Con poca inventiva il titolo in questione è nientepopodimeno che: Diana Vreeland. L'imperatrice della moda, con tante grazie a Valentino. The last Emperor, altro doc di qualche anno fa. Inutile dire che in lingua originale il film ha il nome è ben più evocativo: Diana Vreeland: The Eye Has to Travel.


La vecchia D. al cinema e presto in dvd

Visto che proprio la vecchia D. era stata - con la sua biografia - protagonista di uno degli appuntamenti della mia serie Io, tè e un buon libro, mi sembra doveroso informarvi che la pellicola di Lisa Immordino è impegnata in un tour nelle sale italiane - oggi è a Bologna, al Lumière, per esempio - mentre proprio a Milano la potete vedere (per ora) al cinema Arcobaleno di viale Tunisia. E qualcosa mi dice che presto il film uscirà in dvd per Feltrinelli...

mercoledì 5 dicembre 2012

Gli italiani preferiscono le mostre

Scrivendo di tennis anche per Milanodabere.it (scrivendo questo, per la precisione), mi sono imbattuta in una news in arrivo da una fonte quanto meno "noiosa" se non irritante: il sito della SIAE. Del resto, ancora associo la Società Italiana degli Autori ed Editori al dazio consistente che ho dovuto sborsare per avere un sano accompagnamento musicale al mio matrimonio... Comunque, la notizia in questione è l'ultimo report sulle attività di spettacolo in Italia, dati che fotografano l'andamento di cinema, sport, concerti, mostre, etc. tra gennaio e giugno 2012. Non vado matta per i numeri, ma qualche statistica, qualche percentuale ogni tanto (ma solo ogni-tanto) non mi dispiace.

Show me the moneeeeeyyyyyy

E così apprendo che i campioni di incassi nei settori di cinema, teatro, musica e concerti sono, rispettivamente: Benvenuti al nord, con Claudio Bisio; Tutto suo padre, di Enrico Brignano; il concertone di Madonna a San Siro del 14 giugno.

In generale, le vendite di biglietti di cinema, teatro, concerti e manifestazioni sportive hanno sofferto un calo, chi più chi meno, mentre per le mostre si registra un vero e proprio boom:
  • ingressi +4,81%
  • spesa al botteghino +16,94%
  • spesa del pubblico +109,56%
  • volume d'affari +103,50%
Passiamo spesso come un popolo di pecoroni ignoranti, che non legge un libro manco a piangere eppure, noi italiani, a quanto pare, amiamo andar per mostre. C'è ancora speranza! Stupisce poi sapere che al trend negativo registrato dagli spettacoli teatrali sfugge il settore della lirica:
  • spettacoli +4,84%
  • ingressi +12,68%
  • spesa al botteghino +11,18%
  • spesa del pubblico +11,27%
  • volume d'affari +11,27%.

L'opera più vista? Gli Italiani preferiscono la Tosca di Giacomo Puccini.

Un poster della Tosca



[A proposito di statistiche...]

domenica 2 dicembre 2012

E poi venne il tennis dal vivo

Ieri pomeriggio ho assistito alla prima partita di tennis della mia vita dal vivo. Non era un vero e proprio match ma La Grande Sfida: ovvero una manifestazione senza scopo di premio in cui si sono fronteggiate Ana Ivanovic vs Roberta Vinci, poi Maria Sharapova vs Sara Errani, infine le quattro in un doppio: ciascun match fatto di un solo set. Insomma, come prima volta non è andata proprio male.

Questa non è una foto de La Grande Sfida 2012,
è una bella foto di Vincent Laforet
Benché non mi sia mai cimentata a rete racchetta alla mano, so che giocare a tennis è come giocare a scacchi sparandosi pallettate a 150km/h, correndo a destra e a sinistra, avanti e indietro sul campo, magari per ore. Devi essere il braccio e la mente e devi esserlo "da- so-lo" a ogni set, a ogni match, in ogni singolo minuto di allenamento. Lo so da quando iniziai a seguire il tennis alla tv a fine anni '90 su quello che allora era Telepiù (che poi divenne Sky: preistoria): il mio torneo preferito era il Roland Garros, poi venivano gli open degli Stati Uniti, quelli d'Australia e infine Wimbledon (il che è un'anomalia, lo so). Finita l'Università, addio tempo libero, addio tennis in tv. Chissà, forse non ci tenevo abbastanza. Tra gli eventi memorabili di quel tennis televisivo, ricordo una serata in cui miracolosamente la mia famiglia (tutta intera, fratello e padre calciocentrici compresi) restò avvinghiata davanti allo schermo per sbranare con gli occhi un match interminabile, credo fosse Roddick - Nalbandian, US Open 2003, ma non ne sono sicura. Il fatto è che - straordinariamente - nessuno fiatò, nemmeno per obiettare che su un altro canale c'era il tg (sacro!).

Questa invece, come potrete notare dalla differenza
con la precedente, è una foto scattata da me de La Grande Sfida 2012.
Per darvi un'idea della mia visuale

Poi è arrivata la fenomenale bio di Agassi, Open, poi la pubblicazione di due saggi sul tennis di David Foster Wallace, Il tennis come esperienza religiosa, e mi si è accesa una mancanza. Proprio DFW mi ha punto sul vivo: mi fa notare che non è possibile cogliere la grandezza di questo sport (e la straordinarietà dei suoi campioni) finché non lo vedi dal vivo. Sicchè, mi sono detta, non potevo bucare l'unico evento tennistico alla mia portata e cioè a Milano e cioè: La Grande Sfida. Milano ce l'aveva un torneo, era indoor e rientrava negli International Series, ma dopo aver visto le vittorie di Borg, McEnroe, Lendl e compagnia (anche di Federer nel 2001), ha chiuso i battenti nel 2005. Nel 2011 la mia città si riprende un pezzetto di spazio nel tennis internazionale con  la manifestazione di cui sopra: forse piccola rispetto ad altre ma grande per sforzi e intenzioni. L'anno scorso hanno giocato le sorelle Williams, Schiavone e Pennetta. Quest'anno è toccato a Sharapova-Ivanovic-Errani-Vinci.

David Foster Wallace, fu anche tennista

Sono state tre ore per me semplicemente wow!.Le due italiane sembravano due nane contro la russa e la serba, appena le vedi entrare in campo nei rispettivi singolari pensi che non hanno chance, che farebbero anzi meglio a scappare a gambe levate. E invece sono un concentrato di energia e buon gioco, ci credono e ce l'hanno scritto nei dritti e nei rovesci. I primi punti di ogni set volano via in fretta, i colpi sembrano riflessi incondizionati, poi il gioco diventa più... mentale. Il braccio si fa più succube della mente e la fatica costringe la testa a elaborare un piano per far fuori l'avversario prima che le tue gambe si schiantino a terra. Si trattava di una esibizione sportiva, non c'erano premi in palio, né glorie particolari, eppure l'istinto agonistico non si può mettere da parte. E così la Sharapova si risente per una palla "chiamata dentro" mentre lei era convinta del contrario, le (sue) prime di servizio sfiorano i 190 km/h, non poche risposte lasciano senza fiato, per non parlare di palle corte e smorzate, demi volée. Se poi vi interessa la mia umilissima opinione, ho trovato che Roberta Vinci abbia giocato molto meglio della Errani, la Sharapova imbattibile rispetto a tutte le altre (praticamente domina il campo, e mi direte: con quelle gambe lì! Beh, Ana Ivanovic non è mica un umpa lumpa ma - almeno ieri - non ha dato esattamente la stessa impressione).

È stato uno spettacolo divertente e appassionante, insomma. Nonostante le ragazze in campo non abbiano deliziato la platea con un balletto come fecero l'anno scorso Williams & Co., pare tra l'altro che tale mancanza abbia deluso soprattutto i giornalisti sportivi maschi in tribuna stampa ("La Sharapova è troppo algida per concedersi a queste cose", ha sentenziato un collega), e infatti c'è chi ha scritto che più che Grande Sfida si sia trattato di Grande Noia: parere un po' troppo estremo. Pace. Lo spettacolo c'è stato e ha entusiasmato un Forum di Assago quasi al completo. Ciò significa che:
  1. il tennis gli italiani lo seguono (e lo praticano, i piccoli soprattutto);
  2. c'è una fame di tennis che in Italia non trova mense;
  3. forse forse forse forse qualcosina sta cambiando, visto che l'evento è stato trasmesso sul Sky Sport 1, riservato per tradizione al calcio;
  4. il tennis femminile dà risultati (e di questo si parla già da un po') e c'è da baciarsi i gomiti per questo, ma... che si fa se e quando i risultati non arrivano? Esempio: mettiamo che nel 2013 non si mette in luce nessuna giocatrice italiana in particolare (facciamo gli scongiuri del caso), chi invitiamo alla prossima Grande Sfida?
  5. voglio i biglietti per la prossima Fed Cup Italia/Stati Uniti a Rimini (9 e 10 febbraio - ricordate che il Natale si avvicina, grazie).
Confermo l'emozione del tennis vissuto praticamente a fondocampo, dove lo schiocco della palla sulla racchetta ha un sapore decisamente particolare, gusti il sibilo della palla sparata dalla parte opposta della rete, "vedi" i mugugni dei giocatori che si fanno il mazzo. E soprattutto confermo, capisco e ringrazio (ancora una volta) DFW quando scrive:

"La grande intuizione di Schtitt, sua grande attrattiva agli occhi del defunto padre di Mario: Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C'è sempre e solo l'io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall'altro lato della rete: lui non è il nemico: è più il partner nella danza. Lui è il pretesto o l' occasione per incontrare l'io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l'io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti: trascendi: migliora: vinci. Ecco la ragione per cui il tennis è l'impresa essenzialmente tragica del migliorare e crescere come juniores serio mantenendo le proprie ambizioni. Si cerca di sconfiggere e trascendere quell'io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. È tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all'infinito".

Lo scrive in Infinite Jest: se vi spaventa per la mole (e a me spaventa), leggete almeno Il tennis come esperienza religiosa. Ringrazierete il buon vecchio DFW per le perle, come sempre.

mercoledì 28 novembre 2012

Tutte le strade portano a Hitchcock

Nel mezzo del nostro fare-cose-vedere-gente, capita spesso di imbattersi più volte negli stessi soggetti, o libri, canzoni, grafiche, nomi, numeri. Elementi che punteggiano la nostra esistenza anche quando si ha a che fare con attività o situazioni che esulano completamente dalla categoria d'appartenenza dell'elemento ricorrente in questione. Ciò ci porta a credere (mi porta a credere) nell'esistenza di una rete di sottili fili (nella mia mente li immagino rossi e di lana) intrecciata proprio sotto tutto ciò che succede mentre sei impegnato a fare altri programmi. Vista dalla giusta prospettiva, questa non è solo una rete, ma una sorta di disegno/immagine/mappa che chissà /magari/un giorno, permetterà di scoprire come interpretare la propria esistenza. Un codice col quale decriptare il significato della nostra presenza a questo mondo. Trattasi del lasciarsi ammaliare dal fascino delle coincidenze per non arrendersi alla totale mancanza di senso della vita e alla supremazia del Caos? Non lo escludo. Evviva! direte voi. E invece tutto questo preambolo filosofico - l'ennesima pippa mentale... - serve per comunicarvi che... Alfred Hitchcock mi perseguita, o almeno l'ha fatto negli ultimi giorni (un sano estica##i è quanto meno concesso).

Sir Alfred Hitchcock qui rappresentato con un pizzico di
inquietudine aggiuntiva (nel caso in cui ce ne fosse bisogno)
Sarà colpa dell'uscita di un film sulla vita del Maestro nelle sale americane, intitolato nientepopodimenoche: Hitchcock? Non credo che il potere delle major sia ormai tale da condizionare a tal punto la mente umana, pur di promuovere una biopic a tre mesi di anticipo dall'uscita del film medesimo (in Italia, almeno, dove è atteso per il 23 febbraio). Tutto inizia durante la conferenza stampa di presentazione della mostra su Dracula alla Triennale di Milano. Prende la parola uno dei curatori, il cinemaniaco Gianni Canova, che cita la battuta di un film:

"Non esiste una coppia di vampiri più rapace di noi"

A pronunciarla è Grace Kelly a James Stewart ne La finestra sul cortile. Perché, caso vuole, nel suo corso di quest'anno, Canova insegna Hitchcock e ne mostra ai suoi studenti i film, e proprio non si ricordava di questa frase di Grace Kelly che tanto bene mette in luce le analogie tra spettatori (della vita, di film? Di tutti e due) e vampiri(smo). Alchè non posso fare a meno di pensare che Hitchcock l'ho studiato pure io nel corso di Teoria-e-analisi-del-linguaggio-cinematografico (da leggere tutto d'un fiato), da me seguito nei tempi andati dell'Università (Statale), tenuto dalla tenace prof. Dagrada. Probabilmente Hitchcock lo insegnano in qualunque corso di cinema, ogni anno, ogni ora. Per carità, per quel che ne so, è come l'alfabeto per chi ha intenzione di imparare a leggere o a scrivere. E se non lo capite, leggete il libro-intervista (tutto d'un fiato, anche questo) scritto da François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock.

Simpatico trio con tecnico luci:
Hitch, Jimmy Stewart e la mitica Grace sul set de
"La finestra sul cortile"
 Ancora. Ho visto di recente un film molto molto... grazioso (mi sembra l'aggettivo più calzante), ve ne parlerò ma non ora. A colpirmi è - anche stavolta, dopo quest'altra intendo - il lavoro della costume designer. Così indago, cerco il suo c.v., scopro che ha fatto poco altro, nessun altro lavoro su grandi set cinematografici. Però è suo lo styling di un servizio fotografico su Vice Magazine con protagonista Miranda July in abiti e ambientazioni ispirati al cinema. Il servizio mette a confronto l'immagine di un film e quella di un outfit. Primo film: Kramer vs Kramer. Secondo film: VertigoLa donna che visse due volte insomma.

Ancora. Domenica passo in centro e infilo la testa e il portafogli alla Rizzoli, in Galleria. Un microscopico angolo è riservato a libri superscontati: perché non li compra nessuno o perché hanno la copertina troppo rovinata per essere venduti a prezzo pieno. Una tristezza, insomma. Sembra di stare al canile dell'editoria libraria. Bam!: Alfred Hitchcock. Tutti i film. Di Paul Duncan, Edizioni Taschen, prezzo di copertina: 14,99 Euro. Su Amazon si trova a poco più di otto, su Ibs a poco meno di sette. Io mi accontento di avere lo sguardo terrorizzato di Tippi Hedren ne Gli uccelli sulla mia libreria per cinque Euro.


Una cover terrorifica (Hitchcock d.o.c.) occhieggia nel mio salotto
Per ora benvenuto Alfie. E chissà se imperverserai ancora col tuo panciuto profilo nei miei giorni venturi. Per i miei sogni tranquilli spero di no, per la gioia dei miei occhi di cinefila in erba spero di sì. In attesa di capire che spazio hai nella rete rossa e lanuta che dà un senso a questo caotico bla-bla-bla che è la mia vita.

giovedì 22 novembre 2012

Perché leggere mi salverà la vita

Bene. L'altra notte me ne stavo a letto, con la lampada accesa, pronta a iniziare la lettura di Una certa idea del mondo, il libriccino di Baricco uscito con Repubblica, quando mi parte una pippa, così, involontaria. La pippa mentale delle due di notte. Penso che io, in fondo, non so fare nulla. Mi spiego: so leggere libri, riviste, so guardare film, so studiare, so ascoltare (credo). Potrei anche sostituire i verbi delle frasi precedenti con il predicato "amare", il risultato non cambierebbe: le mie competenze e le mia passioni si limitano a quelle cose lì, libri e film. Poi mi sono chiesta: possibile concretizzare queste attitudini in un mestiere? Mi faccio la stessa domanda da quando avevo 17 anni, ho passato i trenta e ancora non ho risposte.



Invidio quelli che sono divorati da una passione per i capelli, per la cucina, per la chimica, per il make up, per la fotografia e che possono dire con certezza di voler diventare parrucchieri/cuochi/chimici/truccatori/fotografi e così via. Almeno hanno un campo di azione definito, definito dalla loro tecnica, penso. Mi rendo conto che questa riflessione delle due di notte ha mille falle, ma è una pippa mentale e in quanto tale prosegue inarrestabile su binari precisi, richierebbe di andare avanti a oltranza, diretta verso zone depresse che neanche la Death Valley. Perciò la chiudo e lo faccio aprendo finalmente Baricco. La lettura procede che è una meraviglia, tanto che, un paio di giorni dopo, eccomi ancora in compagnia sua e - stavolta - della sua opinione su Vergogna di J.M. Coetzee. E mi trovo a leggere Baricco che scrive inaspettatamente della mia pippa mentale di un paio di sere fa, così:

Che si tratti di reagire a un'aggressione feroce, o di curare un cane malato,
il professore (parla del protagonista del romanzo di Coetzee...), con tutta la sua cultura, si trova ad essere costantemente inadeguato, inutile, vergognosamente non attrezzato. È un fenomeno che conosco.
A me basta andare ad affittare un gommone, o andare a comprare la fontina in un alpeggio per trovarmi davanti a persone che detengono un sapere raffinatissimo, di fronte al quale posso solo contrapporre un'ignoranza umiliante.
D'improvviso, a saper vivere, sono loro. Sanno come avvolgere una cima, che tempo farà domani, i nomi degli alberi, le dinamiche dei venti, come vestirsi, dove sedersi e dove no, come non farsi male. Sono elementari, primitivi, spesso non hanno mai aperto un libro, eppure dopo un po' non riesci a cacciare questa rovinosa sensazione che sappiano stare al mondo meglio di te, forse perfino educare i figli, al limite abitare la loro anima sovradimensionata. È intollerabile. E io, con tutti i libri che ho letto?

Possibile che debba stare lì come un fesso a farmi insegnare a vivere?
È in quei momenti che io, come il professore di Coetzee, finisco per chiedermi:
ma cosa so fare, io? Con tutto quello che ho studiato e fatto, cosa so fare io, veramente?

Cosa sanno fare gli intellettuali?

Io ad esempio, so leggere l'Infinito di Leopardi. Voglio dire che so leggerlo bene, so da dove viene quella bellezza, so trovare il suono giusto per ogni parola, so perché è fatto in quel modo, ne conosco la musica perfettamente e so con precisione cosa pronuncia e racconta. Ci ho messo anni, ho lavorato duro, e ora lo so leggere bene. Adesso la domanda è? A cosa serve? Serve a qualcosa? Non sarebbe stato meglio studiare i venti e il nome degli alberi?

 
I grassetti sono miei, quelli lì sono i miei interrogativi, formulati alla grande dallo scrittore. In tutto ciò, non posso fare a meno di provare una goduria inesprimibile scatenata non dalla soluzione alla mia pippa mentale (qui ampiamente condivisa). L'immenso piacere è leggere. Dei poster realizzati da Einaudi qualche anno fa, quelli con le citazioni di grandi autori sulla lettura (ne trovate un po' qui), ne avevo in camera due , uno con una frase di Salinger e l'altro che citava Pavese, così:

Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra -che già viviamo- e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.
 
Cercavo le immagini di quei poster e mi sono imbattuta invece in un'altra citazione, che in poche righe dice tutto e meglio (del resto le ha scritte Flaubert):
 
Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi,
o, come fanno gli ambiziosi, per istruirvi.
No, leggete per vivere

Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici,
ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi,
mio malgrado, vedo venire "Memorie di Adriano"

[Grassetti miei, sì] Già il fatto che scriva vivere e non sopravvivere mi sembra incoraggiante. E mi incoraggia il finale del mini-saggio di Baricco su Coetzee, che (dopo essersi chiesto a che cosa serva sapere anzichè saper fare) ammicca: "Fra una settimana parlerò di un libro di Christa Wolf. E lì, ad esempio c’è una risposta. Una delle migliori che io abbia da parte". Dopo queste parole, ho chiuso Una certa idea di mondo. Perché ero soddisfatta, perché volevo arrivare a Christa Wolf lucida e fresca. Perché spero tanto che questo libriccino comprato a due Euro insieme a un quotidiano non mi deluda proprio adesso, per la prima volta.

lunedì 12 novembre 2012

Well, It has to be optimistic...

Ok, sono tempi grami, lo sappiamo, non c'è mica bisogno che vi spieghi il perché. A ciascuno il suo. In quello che NON è il fondo - ci mancherebbe, per quello c'è sempre tempo... e con questo sono già un po' ottimista, non credete? - mi vien voglia di mettere nero su bianco il breve elenco di "cose per cui vale la pena vivere",  un po' come faceva Woody sul finire di Manhattan (originale, eh?), che iniziava il suo con un incoraggiante "Devo essere ottimista". Riflettendoci qua e là, nelle parentesi dalle gran rotture di scatole che costituiscono poi un buon 70 (80?)% della nostra vita, la scorsa settimana mi è balenato il piccolo inventario che segue, nato da esperienza vissute proprio nei giorni scorsi. L'elenco è stato parzialmente appuntato in una notte di insonnia - e lasciamo stare le idee geniali (o presunte tali) che NON mi appunto per pigrizia, nelle notti di insonnia o in pieno giorno. Beh, insomma, queste sono scampate sane e salve alla mia ignavia.



Dopo un viaggio (di nozze) in Sudafrica e Zimbabwe (ricchissimo di cose per cui vale la pena vivere), io e il gentil consorte decidiamo finalmente di guardare La mia Africa, il cui dvd ci guardava speranzoso dal comò dal mese di agosto, più o meno. Pensavo fosse un polpettone, invece... manco per niente. Elementi per cui vale la pena...ecceteraeccetera del film:

La mia Africa è un film del 1985.
Qui, una fotografia di Douglas Kirkland
L'incantevole eleganza di Meryl Streep, in abiti di scena di Milena Canonero, e quella rude di Robert Redford; la fotografia spettacolare del film tutto. Risultato: voglia di leggere Karen Blixen (e di partire per Kenya, Namibia, Tanzania, Botswana...).

Un'immagine dal volo in aeroplano
dei due protagonisti de "La mia Africa"

C'è un brano che riesce a regalarmi sempre il buon umore (e, volendo fare gli intellettuali, un po' di quella Leggerezza di cui parla Calvino nelle Lezioni Americane): Let's call the whole thing off, nella versione cantata da Ella Fitzgerald e da Louis Armstrong



Per la mia rubrica radiofonica dedicata ad arte e design mi sono preparata due chicche da segnalare, un vaso/candeliere di Luca Nichetto e una lampada di Foscarini. Entrambe sono state ispirate dalle bambole kokeshi, tipiche della tradizione nipponica. Nichetto realizza il suo prodotto pensando un po' a queste bambole, un po' all'arte vetraria del maestro del design finlandese Timo Sarpaneva e chiama la sua collezione di vetri Les Poupées. Foscarini battezza la sua nuova linea di lampade da tavolo... Dolls. Che dire? Viva le bambole kokeshi (che, si dice, abbiano ispirato pure le matrioska)!

Esemplari di "japponissime" Kokeshi dolls

L'esperienza fanciullesca all'Hangar Bicocca, dove - dopo aver atteso per tre ore - io e Stefano (il gentil consorte) abbiamo sperimentato il PVC dell'installazione di Tomás Saraceno On space time foam. Al termine dell'esperienza - consistita nel gattonamento su una superficie di PVC appunto, sospesa a svariati metri di altezza, fino quasi a toccare il soffitto dell'Hangar, e gonfiata da getti d'aria che la rende semisferica, per un tempo complessivo di 15' - abbiamo constatato: a) di non avere più il fisico; b) che l'arte contemporanea non deve necessariamente dire qualcosa; c) che è molto più difficile da spiegare, la suddetta arte contemporanea, la devi provare. E in ogni caso, che bello il nuovo Hangar, con la sua sala lettura, pienissima di libri e riviste che non trovi altrove, il suo bistrot, e tutto il resto...

Pioggia all'esterno dell'Hangar Bicocca.
Sullo sfondo, l'installazione di Fausto Melotti, "La sequenza"

Uno dei libriccini da sfogliare all'Hangar...

Visitatori "trafitti da un raggio di luce"
davanti a "Unidisplay", dell'artista Carsten Nicolai


E poi, tanto per mescolare il raffinato al popolare... andammo a vedere il nuovo 007, e rimasi fulminata dal film tutto, ma in particolare da:

La vecchia M. alla presentazione del nuovo Bond,
con tanto di argenteo tattoo sul collo. Che figa! 

L'elegantissima ragnatela di rughe sul bel viso di Judi Dench in 007 - Skyfall, nonché dalla brughiera che fa da sfondo al finale del sopra citato 007.

"007 Skyfall": lui, lei e la brughiera
(per non parlare della Aston Martin lì dietro)

E poi il venerdì si va al Cineforum di Bareggio, che ci ha appena proposto i paesaggi e la poesia abbagliante del film di Peter Weir The way back. 


Una scena dal film "The way back", del 2010. Poco pubblicizzato e poco diffuso in sala... da recuperare.




giovedì 8 novembre 2012

Fenomenologia della proiezione stampa / 2. Pop corn (gratis) e simpatico umorismo

Ho presenziato alla prima di The Grey, con Liam Neeson. Uno di quei film che ti fanno chiedere per quale ragione un attore di sessant'anni e un certo trascorso abbia avuto anche solo l'intenzione di parteciparvi (oddio, nella passata filmografia di Liam Neeson c'è stato pure di peggio...). Trattavasi di proiezione aperta a stampa nonché a una selezione (eseguita attraverso un non meglio precisato criterio) di invitati: e qui suona un campanello d'allarme. All'ingresso vengono elargiti, per il sollazzo dei partecipanti di cui sopra, bibite e pop corn gratis. E qui parte una sirena, forte e chiara: allerta la popolazione cinefila in sala (fors'anche cinofila, visto il tema del film di seguito esposto) che la proiezione sarà accompagnata da rumore molesto. Quello di 200 mandibole che divorano in sincrono palettate di chicchi di mais saltato. Colonna sonora di pessimo gusto, se vogliamo specificare che il film in questione narra di un gruppetto di sciagurati operai di pozzi petroliferi ("Avanzo di galera" è la voce più frequente tra i loro c.v.) che, sopravvissuto a un incidente aereo in Alaska (mica in estate, chiaro), diventa l'happy-hour di un branco di lupi affamati e incazzatissimi.


Pop corn molesti

Pop corn gratis.
E duecento mandibole sgranocchieranno in sync

Suvvia, su due ore di pellicola, i pop corn occupano lo spazio di dieci minuti dopodiché filmici ululati e grida di terrore (dei protagonisti, non del pubblico) hanno la meglio. Non vi svelerò le sorti di Liam Neeson e dei suoi sventurati compagni di brigata, ma vi riporto quanto raccomandato dal press office prima delle visione del film: "Il vero finale arriva dopo i titoli di coda, non andatevene prima!". Titoli di coda della durata di sei minuti. Attendo fiduciosa. Attendo insieme a una sala gremita, il cui appetito è stato solleticato dai pop corn gratis e dal sangue versato a fiumi sullo schermo. Attendo, attendiamo insieme... il vero finale consta di 15 secondi e lascio a voi la scelta di aspettare o meno quei sei minuti infiniti. Vi dico solo che a proiezione finita-finita, un collega ha commentato: "Tutto 'sto casino per girare un film ambientato in culo ai lupi...". Chapeau!       

lunedì 5 novembre 2012

Chance & Change

Avete mai riflettuto sulla parola francese chance? Può indicare sia una possibilità, sia un'occasione. È estremamente vicina alla parola change, che vuol dire - tanto in francese quanto in inglese - cambiamento. E lo sa bene Obama, che nel 2007 (sì, sembra lontanissimo) ha trasformato Change in uno slogan elettorale, un auspicio, un imperativo. E lo sa anche il suo avversario Mitt Romney, che nell'ormai conclusa campagna elettorale 2012, si è affidato - tra gli altri - al claim Real Change day by day. Più che in ogni altra, proprio nella cultura americana è inculcata l'idea, la potenza del cambiamento, della second chance. Decine di film e libri a stelle e strisce ci comunicano il diritto di qualunque essere umano ad avere una seconda opportunità, per cambiare, per dimostrare al mondo il proprio valore, per rinascere qui, nella vita reale, in attesa di una eventuale resurrezione in una vita altra.



Nel mondo anglosassone cambiare non è peccato, non si nasce camerieri o impiegati per morire tali. Ma questo non è un post a sostegno della tesi montiana per cui il-posto-fisso-in-azienda-è-noioso. È un post che parla di possibilità (chance) concrete, non di sogni a occhi aperti, né di improvvisi, incontrollati impeti a mollare, via, verso un non si sa quale miglior destino. In questi mesi ho sentito caterve di persone intenzionate a lasciare il proprio posto di lavoro per logoramento, ipotizzare business alternativi, ardire a svolte che non giungono mai. Qualcuno, talmente allo stremo, ha preferito il sussidio di disoccupazione anziché accettare l'ennesimo rinnovo contrattuale per un impiego odiatissimo, altri quel rinnovo non l'hanno manco visto e si ritrovano dall'oggi al domani costretti a fare i conti con il fatidico change. Nella cultura italiana la second chance non ha troppa libera cittadinanza e sto parlando (anche) della "pluriennale esperienza nel settore" spesso richiesta dal mercato del lavoro, ma anche di una predisposizione personale al cambiamento di ciascuno di noi.

Poi una sera mi è capitato di sentir parlare di Accademia Felicità. Che nome pretenzioso, ho pensato. E invece è un nome adatto per un'idea coraggiosa e intelligente. Il nome corretto è AccademiA Felicità, con due maiuscole, una all'inizio e una alla fine. Direi che si tratta di una piccola società che si rivolge a coloro che intendono cambiare vita o prendere in mano la propria, dandole un'impronta nuova e fresca, più vicina ai propri desideri. Quello che fa l'AccademiA potrebbe essere molto aleatorio, se non contemplasse una forte dimensione progettuale: chi si mette nella mani di Francesca e Marco - i due fondatori - deve aprirsi come un libro, svelando capacità, ambizioni e angosce, ingredienti necessar per avviarsi lungo le tappe del cambiamento.

Francesca e Marco si sono occupati a lungo di personal e business coaching per grandi aziende, poi hanno preso una strada differente, hanno guardato all'esempio della londinese School of Life  e hanno avviato la loro AccademiA Felicità. Funziona? Bisognerebbe chiederlo ad Alessandro, uno chef che con l'intenzione di arricchire il suo curriculum con esperienze che non contemplino le cucine di grandi ristoranti ha incontrato l'Accademia. Risultato: si trasforma in chef a domicilio, inizia a mescolare ricette e musica rock, il passato londinese al presente italiano, e - chissà - quasi quasi tutto questo finirà in un libro.

Non so quale futuro attenderà l'Accademia o Andrea, spero che le idee di cambiamento e di second chance diventino nostre, e che un giorno (molto vicino) certe parole possano esserci molto familiari, come quelle che si leggono nel libro di Mario Calabresi, La fortuna non esiste. Parole come queste del poeta (e diplomatico) Paul Claudel:

Nel temperamento americano c’è una qualità, chiamata resiliency, che abbraccia i concetti di elasticità, di rimbalzo, di risorsa e di buon umore. Una ragazza perde il patrimonio, senza stare a commiserarsi si metterà a lavare i piatti e a fabbricare cappelli. Uno studente non si sentirà svilito lavorando qualche ora al giorno in un garage o in un caffè. Ho visitato l’America alla fine della presidenza Hoover, in una delle ore più tragiche della sua storia, quando tutte le banche avevano chiuso i battenti e la vita economica era ferma. L’angoscia stringeva i cuori, ma l’allegria e la fiducia splendevano nei volti di tutti. Ad ascoltare le frasi che si scambiavano si sarebbe detto che era tutto un enorme scherzo. E se qualche finanziere si gettava dalla finestra, non posso impedirmi di pensare che lo facesse nella ingannevole speranza di rimbalzare.

giovedì 1 novembre 2012

Io, tè e un buon libro / 3

L'ho comprato prima di andare dal parrucchiere, per ingannare l'attesa prima del mio turno al lavatesta. Niente di impegnativo, insomma, solo della autobiografia di Diana Vreeland. Inaspettata, mi guardava dalla vetrina della libreria, quando l'ho richiesta alla del negozio, mi sono sentita rispondere: "Diana chi?". Vabbè.


Una giovane Diana Dalziel...
Direttrice di Vogue e Harper's Bazaar nei loro anni più snob, nonché Special Consultant per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York dagli anni '70 fino alla morte o quasi, D.V. è stata voce indiscussa della Moda nel Novecento, signora di stile, padrona di un'eleganza eccentrica, ultraricercata e altezzosa come solo poche, oggi. Una donna da invidiare? Ricca, per molto tempo non mosse un dito per guadagnarsi da vivere, agiata e viziata, nella mia mente è quanto di più vicino a una nobildonna del XVIII secolo: una così non è forse un essere odioso? E dunque?


Diana Vreeland al lavoro
Matite ben temperate, tratti spigolosi e carattere deciso

Nella sua autobiografia, il racconto raccolto da un paio di giornalisti e narrato da D.V. in prima persona (ovvio) saltando qua e là cavalcando i ricordi, si presenta subito come una donna d'altri tempi, cresciuta quando l'Inghilterra era ancora un Impero, e l'unico aggettivo da accostare al termine disciplina era "ferrea". Come ogni donna di carattere, non nasconde una certa mitomania: gli episodi che punteggiano la sua vita mai noiosa sono un tantinino... gonfiati. Del resto, tra i primi ricordi che toccano al lettore ci sono quelli dell'infanzia a Parigi, con le gite del mercoledì al Louvre e qui la memoria gioca brutti scherzi, o cerca sensazionalismi futili ma di spirito: a un certo punto D.V. racconta di essere stata, insieme alla sorella e alla tata, l'ultima persona ad aver visto la Gioconda prima che venisse rubata. Peccato che il furto della Monna Lisa avvenne nella notte tra la domenica e un lunedì dell'agosto 1911, che c'entra il mercoledì? Ma sulle panzane, D.V. ha le sue opinioni, come si legge nel capitolo XXV:

Proprio l'altro giorno mio nipote se n'è uscito così: "Ti sento dire un mucchio di bugie. Ad esempio, la scorsa settimana, due settimane fa... non importa quando lo fai... racconti sempre le storie più assurde!".
Ora, so di
esagerare... sempre. E naturalmente sono un disastro a raccontare i fatti. Ma una bella storia... alcuni dettagli... fanno parte della mia immaginazione. Non lo chiamo mentire.
 
[...]

"Conosci parecchi bugiardi" [...]
"Oh, non li definisco bugiardi", risposi. "Piuttosto li definisco romantici".
 
[...]
 
Un conto è dire una bugia per tirarsi fuori da una situazione o trarre vantaggio per sé; un altro, è mentire per rendere la vita più interessante. Sono due cose ben diverse.


D.V. fa subito simpatia: per quanto frivola, dimostra carattere, acutezza, una cultura immensa, una dose di coraggio, un po' di spavalderia e una naturale dote nel riconoscere il bello. Che male c'è ad impiegare una vita dietro a ciò che normalmente consideriamo futile, se ci mettiamo passione, studio, amore, se mettiamo questo futile dentro a un progetto non smette forse di essere futile?

Con il marito, Reed Vreeland.
E con un'amabile borsina maculata

Non c'è da stupirsi del successo che ha avuto questa donna. Frivola, ma mai vanesia, affascinata dagli oggetti, attratta (ossessionata?) dai (bei) vestiti, eppure saggia, e non c'è modo per spiegare meglio la saggezza di questa donna - un po' innata, molto guadagnata - dovete leggere il libro (D.V., Donzelli Editore, 18 Euro). Che, tra l'altro, non ho neppure cominciato dal parrucchiere, e meno male: D.V. merita un tempo più prezioso che non quei dieci minuti di attesa tra phon e piastre.

P.S. Quasi mi dimenticavo il ! E dire che nella bio Diane lo dice chiaramente: "Il tè è molto importante... non c'è nulla di più sano del tè!". Con questo libro ci vorrebbe del tè oolong, un Wu Yi, dal colore ambrato tendente al rosso, e con un gusto robusto ma morbido.

sabato 27 ottobre 2012

Il buongiorno si vede dal mattino. Anche online

Nell'ultimo post ero un po' giù e magnificavo il ruolo della bellezza nel trovare un perché a certi giorni che sembrano non averlo. Mentre io mi crogiuolavo con concetti al limite del filosofico, qualcuno di più pragmatico trovava una soluzione possibile alle tristezze quotidiane, fondando un nuovo blog, battezzato Buongiorno Lady.

Il buongiorno secondo Justin Timberlake

Riservato, of course, alle donne, pubblica la foto di un bel Marcantonio (delle volte parlo come mia nonna...) che augura - appunto - il buongiorno alle lettrici con una massima, un consiglio o una bella dose di ironia. Efficace, immediato... bello corposo.

martedì 23 ottobre 2012

La bellezza ci salverà. Sfogo dopo una giornata senza un perché

Tempo fa mi sono imbattuta nell'oroscopo pubblicato da Internazionale. Mi è sembrato moto poco contingente, valido a prescindere, soprattutto perché sosteneva una tesi in cui da un po' credo anche io. E cominciava così:

"L’arte lava via dall’anima la polvere della vita quotidiana, diceva Pablo Picasso. Questo è certamente vero per me. Mi purifico sia quando creo l’arte sia quando mi trovo davanti a una grande opera. E tu, Cancerino? Quali esperienze ti depurano dalla congestione di emozioni che si accumulano in ognuno di noi? A quali influenze puoi attingere per liberarti dei pensieri ossessivi che a volte ti tormentano? [...]".  

In perenne ricerca della bellezza - ph. Stefano Molaschi
http://stefanomolaschi.blogspot.it/


La frase di Picasso è molto vicina a quella più citata di Dostoevskij e a me molto cara: "La bellezza salverà il mondo", poi ridotta da molti in "La bellezza ci salverà" (che va bene uguale, direi). Ebbene, io ci credo. Talvolta, bello è uguale a etico, ma qui sconfiniamo in una discussione sull'essenza della bellezza, invece vorrei soltanto sfogarmi del fatto che oggi è stata una giornata grigia. Triste, di quella tristezza senza un perché, generata forse dalla mancanza di motivazione, di resa nei confronti della realtà, di un presente che bisognerebbe affrontare sempre con grinta e volontà, perché la natura non ci regala (tutto sommato) niente. In giorni così, l'esperienza del bello mi dà sollievo, mi ispira, mi aiuta.Una mostra, una fotografia, un film, gli amici, un libro, la musica: questo intendo per "bello". Ma oggi non va bene, perché non saprei dove andare a cercare questa cura. Forse questo sfogo un po' me ne procura. Chissà.

Mentre pensavo alla frase di Dostoevskij, mi sono imbattuta sul web in questa frase:

"perché per quanto l’arte tenti di dare ordine e forma al pathos dionisiaco della vita, e perciò la bellezza apollinea tenti di dare senso all’esistenza, essa non riuscirà mai a contenere e nientificare completamente la coscienza del dolore cosmico che tanto tormentava gli animi degli scrittori e filosofi a partire dall’Ottocento".
 

Questa constatazione non dovrebbe aiutarmi, ma mi fa sentire meno sola, in compagnia di tutti gli uomini che hanno abitato questo mondo facendosi le mie stesse domande. Credo che leggerò il libro di Todorov che ho scovato sul web. Un pochino l'idea mi tira su. Avrò trovato il "bello" anche oggi?