giovedì 1 novembre 2012

Io, tè e un buon libro / 3

L'ho comprato prima di andare dal parrucchiere, per ingannare l'attesa prima del mio turno al lavatesta. Niente di impegnativo, insomma, solo della autobiografia di Diana Vreeland. Inaspettata, mi guardava dalla vetrina della libreria, quando l'ho richiesta alla del negozio, mi sono sentita rispondere: "Diana chi?". Vabbè.


Una giovane Diana Dalziel...
Direttrice di Vogue e Harper's Bazaar nei loro anni più snob, nonché Special Consultant per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York dagli anni '70 fino alla morte o quasi, D.V. è stata voce indiscussa della Moda nel Novecento, signora di stile, padrona di un'eleganza eccentrica, ultraricercata e altezzosa come solo poche, oggi. Una donna da invidiare? Ricca, per molto tempo non mosse un dito per guadagnarsi da vivere, agiata e viziata, nella mia mente è quanto di più vicino a una nobildonna del XVIII secolo: una così non è forse un essere odioso? E dunque?


Diana Vreeland al lavoro
Matite ben temperate, tratti spigolosi e carattere deciso

Nella sua autobiografia, il racconto raccolto da un paio di giornalisti e narrato da D.V. in prima persona (ovvio) saltando qua e là cavalcando i ricordi, si presenta subito come una donna d'altri tempi, cresciuta quando l'Inghilterra era ancora un Impero, e l'unico aggettivo da accostare al termine disciplina era "ferrea". Come ogni donna di carattere, non nasconde una certa mitomania: gli episodi che punteggiano la sua vita mai noiosa sono un tantinino... gonfiati. Del resto, tra i primi ricordi che toccano al lettore ci sono quelli dell'infanzia a Parigi, con le gite del mercoledì al Louvre e qui la memoria gioca brutti scherzi, o cerca sensazionalismi futili ma di spirito: a un certo punto D.V. racconta di essere stata, insieme alla sorella e alla tata, l'ultima persona ad aver visto la Gioconda prima che venisse rubata. Peccato che il furto della Monna Lisa avvenne nella notte tra la domenica e un lunedì dell'agosto 1911, che c'entra il mercoledì? Ma sulle panzane, D.V. ha le sue opinioni, come si legge nel capitolo XXV:

Proprio l'altro giorno mio nipote se n'è uscito così: "Ti sento dire un mucchio di bugie. Ad esempio, la scorsa settimana, due settimane fa... non importa quando lo fai... racconti sempre le storie più assurde!".
Ora, so di
esagerare... sempre. E naturalmente sono un disastro a raccontare i fatti. Ma una bella storia... alcuni dettagli... fanno parte della mia immaginazione. Non lo chiamo mentire.
 
[...]

"Conosci parecchi bugiardi" [...]
"Oh, non li definisco bugiardi", risposi. "Piuttosto li definisco romantici".
 
[...]
 
Un conto è dire una bugia per tirarsi fuori da una situazione o trarre vantaggio per sé; un altro, è mentire per rendere la vita più interessante. Sono due cose ben diverse.


D.V. fa subito simpatia: per quanto frivola, dimostra carattere, acutezza, una cultura immensa, una dose di coraggio, un po' di spavalderia e una naturale dote nel riconoscere il bello. Che male c'è ad impiegare una vita dietro a ciò che normalmente consideriamo futile, se ci mettiamo passione, studio, amore, se mettiamo questo futile dentro a un progetto non smette forse di essere futile?

Con il marito, Reed Vreeland.
E con un'amabile borsina maculata

Non c'è da stupirsi del successo che ha avuto questa donna. Frivola, ma mai vanesia, affascinata dagli oggetti, attratta (ossessionata?) dai (bei) vestiti, eppure saggia, e non c'è modo per spiegare meglio la saggezza di questa donna - un po' innata, molto guadagnata - dovete leggere il libro (D.V., Donzelli Editore, 18 Euro). Che, tra l'altro, non ho neppure cominciato dal parrucchiere, e meno male: D.V. merita un tempo più prezioso che non quei dieci minuti di attesa tra phon e piastre.

P.S. Quasi mi dimenticavo il ! E dire che nella bio Diane lo dice chiaramente: "Il tè è molto importante... non c'è nulla di più sano del tè!". Con questo libro ci vorrebbe del tè oolong, un Wu Yi, dal colore ambrato tendente al rosso, e con un gusto robusto ma morbido.

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