Bene. L'altra notte me ne stavo a letto, con la lampada accesa, pronta a iniziare la lettura di
Una certa idea del mondo, il libriccino di Baricco uscito con
Repubblica, quando mi parte una pippa, così, involontaria. La pippa mentale delle due di notte. Penso che io, in fondo, non so fare nulla. Mi spiego: so leggere libri, riviste, so guardare film, so studiare, so ascoltare (credo). Potrei anche sostituire i verbi delle frasi precedenti con il predicato "amare", il risultato non cambierebbe: le mie competenze e le mia passioni si limitano a quelle cose lì, libri e film. Poi mi sono chiesta: possibile concretizzare queste attitudini in un mestiere? Mi faccio la stessa domanda da quando avevo 17 anni, ho passato i trenta e ancora non ho risposte.
Invidio quelli che sono divorati da una passione per i capelli, per la cucina, per la chimica, per il make up, per la fotografia e che possono dire con certezza di voler diventare parrucchieri/cuochi/chimici/truccatori/fotografi e così via. Almeno hanno un campo di azione definito, definito dalla loro tecnica, penso. Mi rendo conto che questa riflessione delle due di notte ha mille falle, ma è una pippa mentale e in quanto tale prosegue inarrestabile su binari precisi, richierebbe di andare avanti a oltranza, diretta verso zone depresse che neanche la Death Valley. Perciò la chiudo e lo faccio aprendo finalmente Baricco. La lettura procede che è una meraviglia, tanto che, un paio di giorni dopo, eccomi ancora in compagnia sua e - stavolta - della sua opinione su
Vergogna di J.M. Coetzee. E mi trovo a leggere Baricco che scrive inaspettatamente della mia pippa mentale di un paio di sere fa, così:
Che si tratti di reagire a un'aggressione feroce, o di curare un cane malato,
il professore (parla del protagonista del romanzo di Coetzee...), con tutta la sua cultura, si trova ad essere costantemente inadeguato, inutile, vergognosamente non attrezzato. È un fenomeno che conosco.
A me basta andare ad affittare un gommone, o andare a comprare la fontina in un alpeggio per trovarmi davanti a persone che detengono un sapere raffinatissimo, di fronte al quale posso solo contrapporre un'ignoranza umiliante.
D'improvviso, a saper vivere, sono loro. Sanno come avvolgere una cima, che tempo farà domani, i nomi degli alberi, le dinamiche dei venti, come vestirsi, dove sedersi e dove no, come non farsi male. Sono elementari, primitivi, spesso non hanno mai aperto un libro, eppure dopo un po' non riesci a cacciare questa rovinosa sensazione che sappiano stare al mondo meglio di te, forse perfino educare i figli, al limite abitare la loro anima sovradimensionata. È intollerabile. E io, con tutti i libri che ho letto?
Possibile che debba stare lì come un fesso a farmi insegnare a vivere?
È in quei momenti che io, come il professore di Coetzee, finisco per chiedermi:
ma cosa so fare, io? Con tutto quello che ho studiato e fatto, cosa so fare io, veramente?
Cosa sanno fare gli intellettuali?
Io ad esempio, so leggere l'Infinito di Leopardi. Voglio dire che so leggerlo bene, so da dove viene quella bellezza, so trovare il suono giusto per ogni parola, so perché è fatto in quel modo, ne conosco la musica perfettamente e so con precisione cosa pronuncia e racconta. Ci ho messo anni, ho lavorato duro, e ora lo so leggere bene. Adesso la domanda è? A cosa serve? Serve a qualcosa? Non sarebbe stato meglio studiare i venti e il nome degli alberi?
I grassetti sono miei, quelli lì sono i miei interrogativi, formulati alla grande dallo scrittore. In tutto ciò, non posso fare a meno di provare una goduria inesprimibile scatenata non dalla soluzione alla mia pippa mentale (qui ampiamente condivisa). L'immenso piacere
è leggere. Dei poster realizzati da Einaudi qualche anno fa, quelli con le citazioni di grandi autori sulla lettura (ne trovate un po'
qui), ne avevo in camera due , uno con una frase di Salinger e l'altro che citava Pavese, così:
Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra -che già viviamo- e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.
Cercavo le immagini di quei poster e mi sono imbattuta invece in un'altra citazione, che in poche righe dice tutto e meglio (del resto le ha scritte Flaubert):
Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi,
o, come fanno gli ambiziosi, per istruirvi.
No, leggete per vivere
|
Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici,
ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi,
mio malgrado, vedo venire "Memorie di Adriano" |
[Grassetti miei, sì] Già il fatto che scriva
vivere e non
sopravvivere mi sembra incoraggiante. E mi incoraggia il finale del mini-saggio di Baricco su Coetzee, che (dopo essersi chiesto a che cosa serva sapere anzichè saper fare) ammicca: "
Fra una settimana parlerò di un libro di Christa Wolf. E lì, ad esempio c’è una risposta. Una delle migliori che io abbia da parte". Dopo queste parole, ho chiuso
Una certa idea di mondo. Perché ero soddisfatta, perché volevo arrivare a Christa Wolf lucida e fresca. Perché spero tanto che questo libriccino comprato a due Euro insieme a un quotidiano non mi deluda proprio adesso, per la prima volta.