giovedì 3 aprile 2014

Il rebus Nymphomaniac (Vol.1)

 
Una... gaudente Charlotte Gainsbourg
nella locandina del film
All'invito all'anteprima di Nymphomaniac ci ho pensato due volte prima di dire sì. Ho pensato subito al porno, e a me il porno fa impressione (#sapevatelo) e a scene pesanti da mandar giù (scusate l'umorismo), poi ho detto sì e ho pensato: "Vediamo che succede". Nel buio della sala, un buio che dura parecchi secondi nell'incipit del film, succede che temo l'arrivo delle scene di sesso neanche stessi guardando Lo squalo di Spielberg (Help me, Mr. Freud!)... Poi ho lasciato perdere.

Non nel senso che me la sono filata via, nel senso che, intuendo che il porno che temevo di dover guardare in realtà non esisteva, ho lasciato da parte la prospettiva sessuale (lo so che sembra un'ardua impresa, dato il tema di Nymphomaniac) per cercarne altre. Penso che il primo volume non possa essere interpretabile soltanto alla luce di quel che sarà il suo seguito. Il Volume 2 riserverà sicuramente scene più forti e questo sembra chiaro fin dal suo trailer posto ai titoli di coda del Vol.1: pare proprio che tornerò a temere l'arrivo di falli, vagine e orifizi vari manco fossero IT Il Pagliaccio. A 'sto punto però il Vol.2 di Nymphomaniac s'ha da vedè: per chiudere il cerchio della storia di Joe la ninfomane e per capire come va a finire o dove va a parare il discorso che Lars von Trier tesse davanti ai nostri occhi di spettatori, tra le righe visive che narrano appunto le gesta erotiche della ninfomane di cui sopra.

La storia è nota: l’anziano Seligman (Stellan Skarsgard) trova il corpo di Joe (interpretata da Charlotte Gainsbourg nel presente del film e dall’esordiente Stacy Martin nei flashback) disteso a terra, in un vicolo buio. La donna è malconcia, le viene offerta ospitalità e nelle stanze dell’uomo spiega la sua storia di “peccatrice”, come si definisce lei stessa. Joe dispiega la sua vita di ninfomane dall’infanzia fino all’ingresso nell’età adulta (in questa prima parte). Curiosità e scoperte infantili sul sesso, scabrosi giochi adolescenziali, lussuriosi vizi quotidiani scorrono sullo schermo interrotti  dagli interventi di Seligman, che assume quasi una funzione paratestuale fornendo spunti metaforici (la matematica, la pesca, la musica polifonica) ai capitoli che scandiscono il racconto, non senza scadere nel didascalico e con effetti comici notevoli. Si ride, in sala, parecchio: all'inizio ho pensato che fosse una conseguenza involontaria del regista. "Che scivolone", mi sono detta, lì per lì. Ma, credetemi, ce ne sono parecchi di momenti del genere, forse troppi: vuoi vedere che di involontario qui non c'è proprio niente?

Il cast di Nymphomaniac in vesti... insolite.
Anche quelle scene che sulla carta dovrebbero/potrebbero essere drammatiche, sono depotenziate, basti pensare a tutto il capitolo con protagonista Uma Thurman: teatralissimo, comicissimo. In ogni caso, quando sarete arrivati a quel punto, il dubbio vi sarà venuto da un pezzo: che cosa ci racconta davvero il film? E la storia che Joe racconta a Seligman è “davvero” la sua storia o è soltanto quella che il vecchio vuol sentirsi raccontare? È possibile che sia tutta o in parte una metafora del "dialogo" tra regista (Joe) e pubblico Seligman), tra artista (Joe) e critico (Seligman), tra un uomo (von Trier / Joe) e se stesso (von Trier / Seligman)? Ci sono un mucchio di domande in sospeso che (mi) chiedono da un lato di rivedere il film, dall'altro di vedere il sequel. Con un'avvertenza: voler trovare un significato ultimo della storia narrata dal Volume 1 tutto nel Volume 2 rischia di trasformarsi in impresa frustrante e inutile. Forse, e dico forse, conviene concentrarsi sulla riflessione metacinematografica e metanarrativa sottesa al film, come un rebus difficile tutto da interpretare.

lunedì 3 marzo 2014

La grande bellezza, secondo me. Aspettando gli Oscar...

L'indolente Servillo in una scena de "La Grande Bellezza"
Sono andata a vedere La Grande Bellezza non molto tempo fa. Dopo i Golden Globes e in vista degli Oscar se n'è fatto un gran parlare e volevo entrare anche io nella discussione. Sono andata al cinema non senza scetticismi: a volte ci facciamo condizionare talmente dai media da formulare un giudizio su qualcosa che nemmeno conosciamo. E questo era il caso mio e de La Grande Bellezza. A sentirne parlare (in tv soprattutto) pensavo di andare a vedere un film che raccontava dei piaceri dell'attuale dolce vita romana, coatta, ignorante, un po' squallida. Non avevo capito niente, del resto come potevo, se non avevo visto La Grande Bellezza?

Tralasciando numerosi dettagli (la sala in cui l'ho visto, le persone che mi hanno accompagnato e con cui ho discusso, il fatto che, scena dopo scena, si sgretolassero i pregiudizi), direi che Sorrentino mi ha conquistata. Qualcuno si indignerà a riguardo, ma mi sono trovata a pensare che - alleluja - nel cinema italiano qualcuno avesse avuto la sfacciataggine di seguire i passi di Fellini anziché quelli della Commedia-all'-Italiana, della quale non passa giorno senza che qualche regista non se ne autoproclami come degno erede. Di Fellini, ne La Grande Bellezza, ho ritrovato un po' di Otto 1/2 (opera unica e irripetibile), la leggerezza, la nostalgia, ho captato alcuni richiami, ecco. E mi dispiace se, parlando della notte degli Oscar in corso, la tv (tanto per cambiare) abbia sottolineato che l'Italia manca l'Academy Award per il miglior film straniero da 15 anni, riferendosi a La vita è bella, anziché ricordare che 50 anni fa Otto 1/2 si aggiudicava proprio quel premio. L'accostamento 1964 - 2014 mi pareva più azzeccato, tutto qui (e magari di buon auspicio, e adesso chi vuole faccia pure gli scongiuri, per Sorrentino).

Romana flânerie
Detto ciò, La Grande Bellezza mi è sembrata molto più disincantata e disillusa del capolavoro di Fellini. Disilluso è il suo protagonista: Jep è un flâneur, passeggia per Roma, la contempla dai terrazzi, per le strade, è un flâneur rispetto alla città e ai suoi abitanti. Intorno a lui si dibatte una varia e vasta umanità: sceneggiatori in crisi, artisti o sedicenti tali, intellettuali incazzose "dure e pure", omuncoli, delinquenti col completo sartoriale che tirano le fila del Paese... ce n'è di ogni. E la città, con la sua storia, le sue rovine, i suoi monumenti, sta lì come a dire: che vi dibattete a fare poi... tutto questo passerà, credete di essere i primi e gli unici a vivere in questo mondo, ma passerete anche voi, e tutto è stato detto, tutto è stato fatto, tutto è stato scritto. Rilassatevi, godetevela. E un po' è questo lo sguardo di Jep: indolente, benché desideroso di provare ancora una volta il piacere dello stupore, quello che ti assale quando vedi/provi/fai qualcosa di eccezionale per la prima volta. Ma la nostra vita quante prime volte ci può dare?

La locandina tedesca del film
Oltre le allegre baracconate, le messe in scena, le parole che riempiono le bocche, i bla-bla-bla futili e tronfi, tutto scorre come l'acqua delle fontane di Roma, come il fiume, come i ricordi delle stagioni passate, come l'emozione di ogni nostra prima volta.

Se dovessi sintetizzare quello che La Grande Bellezza è stata per me, userei queste parole: niente ai mortali dura, né la notte stellata, né la tragedia, non resta forse che l'esperienza estetica. E allora lasciamoci trasportare dalla musica e dalle immagini dei titoli di coda, e guardiamo ancora una volta Roma, con gli occhi di Jep, lasciandoci portare con lui - come lui - dalle acque del Tevere, nell'ora del tramonto, finché la luce ce lo consentirà.

domenica 2 marzo 2014

12 anni schiavo: le mie pippe mentali, aspettando gli Oscar 2014

La locandina USA del film
Recentemente mi è capitato spesso di dire o sentirmi dire espressioni del tipo: "Viene trattato come un servo perché si pone come se fosse un servo", riguardo ad amici/colleghi/mariti/mogli  rispetto al rapporto non esattamente sano che intrattengono rispettivamente con: l'amico/il capo/il collega/la moglie/il marito dal piglio tirannico.

 Probabilmente ciascuno di noi vive o ha vissuto una relazione in cui si sentiva "costretto", per diversi motivi e con sfumature diverse. Siamo noi che assumiamo comportamenti "funzionali" a certe dinamiche oppure no? Si può fare diversamente? Insomma: anche la libertà ha una dimensione relazionale? E poi, vado a vedere 12 anni schiavo.

Ormai saprete certamente che 12 anni schiavo è una parte, l'ultima, che il già video artista e regista Steve McQuenn ha dedicato al tema della libertà. Prima c'è stato Hunger (la libertà dello spirito nonostante la condizione di un corpo prigioniero, quello dell'attivista nordirlandese Bobby Sands), poi Shame (la libertà di un corpo, quello di un sessuomane, nella condizione di un'anima prigioniera - anche - della solitudine). Adesso, 12 anni schiavo: la libertà (o la schiavitù) possibile di un corpo, di un'anima e di una volontà in mezzo ad altri corpi e anime e volontà. [seguono spoiler...]



1841, Solomon Northup è un uomo libero, un marito, un padre di famiglia, un uomo nero. Una mattina si sveglia in catene: con l'inganno è stato venduto come schiavo e per i dodici anni del titolo ne subirà di ogni, cambierà più volte padrone, esperirà soprusi e disperazione, finché finalmente incontrerà l'uomo che potrà aiutarlo a liberarsi.

Colpisce il dialogo che si ascolta nel viaggio in battello verso le piantagioni nel Sud degli Stati Uniti, quando Solomon ed altri compagni di sventura valutano il da farsi: c'è chi dice che dovrebbero ribellarsi, chi dice che l'unico rimedio è tacere e obbedire, Solomon sentenzia: "Io non voglio sopravvivere, io voglio vivere". Per gradi gli levano: gli abiti, il nome (d'ora in poi lo chiameranno Pleth), l'identità (che non si azzardi a rivelare che è un uomo colto, o passerà dei guai). E intanto, tu spettatore, ti rendi conto di cosa significa togliere la dignità a un uomo giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno... Man mano che il film va avanti, Solomon/Pleth si incurva sempre di più, sopravvive. E tu, spettatore, ora pensi che dovrebbe fuggire o reagire, ora pensi che farebbe meglio a stare zitto e cheto per evitare i peggiori guai.

Visto al limite massimo prima della cerimonia degli Oscar...

Io, spettatrice, fuori dal cinema ho pensato che sia il corpo sia l'anima di Solomon siano diventati schiavi.
Che tra i personaggi del film, schiavisti e schiavi, poveri diavoli e mercanti, uomini, donne, bambini, non ne ho trovato uno che sia stato libero in senso assoluto (o forse sì: l'uomo che aiuta Pleth a tornare Solomon).

Penso che il film sia un film storico, non tanto perché è ambientato nel 1841, quanto perché mi fa pensare a che cos'è l'uomo rispetto alla Storia, rispetto alla vita che vive e mi domando: in quali limiti ci troviamo ad agire, nella nostra vita che domani sarà diventata Storia? Cosa limita la nostra azione e la nostra libertà? La Legge (che nel 1841 consentiva la schiavitù)? Il "Sistema" (che, in una piantagione di cotone del 1841, giustifica l'indifferenza di un gruppo di schiavi  mentre lì davanti a loro un uomo viene lasciato ore appeso per il collo)? Gli Altri (quelli che ti tirano in mezzo ai loro ricatti sentimentali, come quelli tra Epps e la moglie)? La Paura (e qui hai voglia a indicare esempi...)? Le Circostanze (quelle per cui, minacciato altrimenti di essere ammazzato, Solomon frusta una sua pari quasi uccidendola)? Noi stessi (perché scopriamo fino a quanto possiamo essere bestie e fino a quanto non abbiamo il coraggio di essere o di fare diversamente)?

Mi ha stupito, nel finale, ascoltare Solomon tornare a casa e chiedere perdono alla sua famiglia. Per quale motivo il regista gli fa dire quelle parole? Mi ha stupito quanta poca pace mi abbia dato la risposta di sua moglie: "Non c'è niente da perdonare". La scena, le frasi mi riecheggiano nella testa: Solomon deve farsi perdonare di non avere trovato il modo di tornare a casa prima? Deve farsi perdonare di essere stato lontano mentre i suoi figli crescevano? Di non aver potuto nulla per salvare i suoi compagni? Quel "Non c'è niente da perdonare" mi lascia ancora più inquieta. Non c'è niente da perdonare perché siamo, saremmo stati, tutti come te, Solomon?

domenica 9 febbraio 2014

Ladri di biciclette (io vi maledico)

Amara sorpresa, oggi pomeriggio nel box comune del palazzo in cui vivo: mi hanno rubato la bici. Pare che non sei veramente milanese se non ti è capitato almeno una volta in città. A me è già successo, ma sempre nel paesino di provincia in cui vivevo fino al 2007. E mai in una proprietà privata, sempre in un posto pubblico : la fermata dell'autobus, banalmente. Eccomi dunque al mio battesimo milanese.

La sera del 21 luglio 2013, appena rientrati in casa, Stefano mi dice:
"Fa caldo, alza la tapparella che entra un po' d'aria".
Et voilà, il mio regalo di compleanno, la bici mia, con tanto di cestino,
caschetto, campanello e fiocco. E adesso... adieu, mon vèlo.


Non che mi voglia lamentare troppo: a un mio amico hanno portato via da box sotterranei blindatissimi la sua preziosa moto. Furono degli specialisti, c'è il filmato del sistema di sorveglianza interno a testimoniare il tutto: entrati e usciti in 60 secondi. Conosco una tizia, madre di due gemellini, a cui rubarono dal bagagliaio dell'auto i regali di Natale dei suoi pargoli, proprio la notte della Vigilia. Furti ben più bastardi di quello subito dalla sottoscritta, però quella era la "bici mia" (evocando un popolare video postato su Youtube in cui una giovane pugliese si disperava implorando il ladro del suo scooter di riportarlo alla proprietaria... "Quella era la moto mia!" e giù lacrime. Per inciso: non son più riuscita a rintracciare quel contributi su Youtube, ma a un altro link...).

Quella lì era bici che mi ha regalato mio marito quest'estate, che ho usato praticamente per soli due mesi. La bici che ha ballato una sola estate. Era la bici mia e voi, schifosi ladri di m***a, siate maledetti.

mercoledì 5 febbraio 2014

Le idee sono pesci

David Lynch
Sono stata alla conferenza che il mitico David Lynch ha tenuto al Teatro Dal Verme il 3 febbraio per presentare il progetto Scuola senza stress, legato alla David Lynch Foundation, che si propone di portare i benefici della meditazione trascendentale nelle scuole. La fondazione lynchiana opera per diffondere questa pratica affascinante e prodigiosa: difficile non desiderare di sperimentare l'esperienza del "tuffarsi dentro", quando si ascoltano i racconti di chi abitualmente medita. Ignara di come si applichi la tecnica delle meditazione trascendentale, sono attirata dall'idea di poter saggiare anche io quell'oceano infinito di pace e creatività, lo stato di coscienza supremo in grado di allontanare la negatività così come la luce scaccia il buio: ciò di cui parlano coloro che appunto di tuffano. E, a proposito di acquaticità, tra le parole del regista che più hanno fatto effetto sulla platea il paragone idee - pesci:

"Per pescare occorre tanta pazienza e un'esca. L'esca, nel nostro caso, è semplicemente il desiderio di pescare qualcosa, di raccogliere un'idea. Fatta l'esca, occorre pazientare e attendere un po', ecco che un pesce abbocca. Nel cinema, un pesce è solo un pezzo di film, ma poi quando lo tiri su e lo lasci sulla tua barca e te ne innamori, allora lo tieni con te e inizi ad attirare altri pesci, e poi ancora e ancora: ecco, hai una sceneggiatura". 

Terminata la conferenza di lunedì, mi metto in tasca quello che ho sentito dire da Lynch (e non solo) e me ne torno a casa con tanta curiosità e un ombrello in meno (il popolo che medita - o che ama Lynch - con me nella sala del Dal Verme evidentemente non è abbastanza pacificato per non scavallare la mia umbrela in una sera di pioggia milanese, amen).

Martedì sera. Entro in un bar della catena Autogrill per un caffè e ne esco con una copia di Una stanza tutta per sé di Virgina Woolf (Newton & Compton, 0,99 Euro e tralasciamo un commento sull'odiosa copertina in rosa fru fru). Lo lessi un milione di anni fa, da qualche tempo pensavo di rileggerlo. Resto un po' sorpresa dalle prime pagine. All'inizio del saggio, la Woolf si descrive - tra realtà e finzione - mentre ragiona su come affrontare l'argomento "donne e romanzo" al centro della conferenza che terrà: riflette seduta sotto un albero nei giardini di una fantomatica università. Si legge (segue una citazione un tantino lunga, portate pazienza...):

Virginia Woolf, ritratta da Gisèle Freund
"Il fiume rifletteva a suo piacimento parte del cielo, del ponte e dell'albero infuocato, e non appena lo studente aveva sospinto la sua barca attraverso i riverberi, questi si chiudevano di nuovo, completamente, come se egli non fosse mai esistito. Sarebbe stato possibile rimanere seduti lì per ore, assorti nei propri pensieri. I miei pensieri - per chiamarli con un nome più altisonante di quanto meritassero - avevano gettato la lenza nella corrente. Essa ondeggiava, minuto dopo minuto, qua e là, tra i riverberi e le alghe, lasciando che l'acqua la sollevasse e l'affondasse finché - conoscete il piccolo strappo, l'improvvisa conglomerazione di un'idea alla fine della sua lenza, e poi il cauto tirarla su e l'attento adagiarla fuori dell'acqua? Ahimè, adagiato sull'erba, come appariva piccolo e insignificante questo mio pensiero; il tipo di pesce che il bravo pescatore butta di nuovo nell'acqua perché possa ingrassare e valga la pena un giorno di cuocerlo e mangiarlo. Non voglio seccarvi adesso con quel pensiero, per quanto, guardando attentamente, potrete trovarlo da sole in ciò che sto per dire. Tuttavia, per quanto fosse piccolo, possedeva, nondimeno, quella misteriosa caratteristica che è propria della sua specie: riportato nella mente, divenne subito molto eccitante e molto importante; e guizzando e poi lasciandosi cadere, e lampeggiando qua e là, creò un tale turbine e tumulto di idee, che fu impossibile rimanere seduta. Fu così che mi ritrovai ad attraversare con estrema rapidità un terreno erboso. Immediatamente comparve la figura di un uomo a fermarmi. Né d'altronde compresi subito che le gesticolazioni di quell'oggetto strano, in giacca corta e camicia da cerimonia, erano dirette a me. Il suo volto esprimeva orrore e indignazione. L'istinto, piuttosto che la ragione, venne in mio aiuto; lui era un custode; io ero una donna. Questo era il prato; quello il sentiero. Soltanto ai professori e agli universitari è permesso passeggiare qui; la ghiaia è il posto per me. Tali pensieri furono questione di un momento. Non appena riguadagnai il sentiero, le braccia del custode si abbassarono, il viso ritornò alla consueta compostezza, e, benché sia più comodo camminare sull'erba che sulla ghiaia, non era successo niente di molto grave. L'unico rimprovero che potevo fare ai professori e agli studenti di qualunque fosse quell'università, era che, per proteggere il loro prato, spianato per 300 anni di seguito, avessero fatto nascondere il mio pesciolino. Quale fosse stata l'idea che aveva causato la mia tanto audace intrusione, non riuscivo più a ricordare."

Sono rimasta stupita dalla somiglianza delle parole scelte da uno dei registi più intriganti del nostro presente e dalla grande scrittrice, delicata e sofferta nata nel 1882 e morta nel 1941. E mi chiedo se la riflessione di cui scrive la Woolf, interrotta poi dall'inserviente, possa avere dei punti in comune con l'esperienza della meditazione. Forse non dovrei stupirmi più di tanto, se è vero che il processo creativo è universale, che si faccia cinema, musica o letteratura. E se è vero che, come spiega David Lynch, tutti gli esseri umani possono tuffarsi in quel livello profondo di coscienza, piena e illuminata, attingere al "più del più", e poi risalire, portando sulla propria barca uno, cento, mille pesci.

P.S. Nota di colore: il ciuffo di Lynch è magnetico, il suo culo piuttosto grosso, la voce un pochino stridula. E la potete sentite anche qui.

lunedì 13 gennaio 2014

Quel che è visto è visto / Film 2013

Inzicata dal collega, che mi chiede insistentemente dalla vigilia di Natale: "Gibillini, ma la lista dei film del 2013?!", vi/mi regalo il sunto dell'annata cinematografica passata. Un anno diviso in due, in maniera poco equilibrata: un inizio praticamente bulimico e un finale altrettanto ghiotto; nel mezzo il vuoto cosmico, puntellato qua e là da visioni goduriose. Devo dedurne che al cinema i film migliori li sparano a inizio e a fino anno? Forse, ma certo sarebbe più onesto dire che sono stata una gran pigrona e che, sì, nel 2013 ho tradito molto spesso la cara sala cinematografica per il divano. Mai più, promesso. Perché il cinema, lo schermo grande così, le poltrone più o meno comode, persino gli spot pre-proiezione e i trailer, la sensazione che "allacciatevi le cinture di sicurezza, a breve il decollo", il buio in sala: non esiste divano al mondo capace di darmi quei brividi lì. Si parte.

Woody Allen e Cate Blanchett sul set di Blue Jasmine


Gennaio
The Master: voto 7
Grandi aspettative dal regista che con Il petroliere mi ha fatto fare un salto sulla sedia. Grandi interpreti, ottime metafore visive, ma - ahimé - non mi convince...

Django Unchained: voto 9
Geniaccio Tarantino! Non ci si stancherebbe mai di guardarlo!
Vorrei aggiungere altro, ma mi verrebbe da scrivere solo commenti di siffatto genere: superwow - da vedere - ammapppate - sbalorditivo... etc etc...

Lincoln: voto 7
Superbo Daniel Day-Lewis. Dovendo dare un voto a un anno di distanza, mi viene da dire "lento", "impegnativo" causa scarsa conoscenza della storia americana. Mi lasciò addosso il desiderio di avere un padre come Lincoln...

Les Misèrables: voto 8
Lo vidi in lingua originale, senza sottotitoli. Imponente, emozionante, trascinante nel finale. E dire che non reggo il musical: chi l'avrebbe detto?
Un film sulla tragedia dello Tsunami indonesiano. Sempre brava Naomi Watts, immagini e storia coinvolgono, ma col tempo non resta addosso granché. 

Quartet: voto 7
Andai a vederlo contro voglia, ero stanca e volevo solo tornare a casa dopo una pesante giornata di lavoro. Per fortuna resistetti. Commedia garbata, delicata e gustosamente divertente. Buona la prima, Dustin Hoffman!

I recuperati (al Cineforum di Bareggio) Argo, un ottimo prodotto, veramente ben fatto ed emozionante, puntellato da deliziose chicche metacinematografiche; ma soprattutto Monsieur Lazahr, decisamente doloroso. Uno dei più bei film  passati al cineforum, mi ha lasciato in lacrime per più di una decina di minuti. Applausi

Da recuperare: La migliore offerta

Febbraio
Re della Terra Selvaggia: voto 6 e 1/2
Ci sono film indipendenti la cui visione mi lascia con giganteschi punti interrogativi sulla testa... Adorabile e straordinaria la piccola interprete. La sottoscritta però patisce di forti problemi a mandar giù ambientazioni paludose e miserabili. Esteticamente mi inibiscono e, evidentemente, io mi perdo il film.
Sarà anche una fiaba... ma a me non è arrivata. 

Studio Illegale: voto 4
Quanto è imbarazzante vedere una commedia mal riuscita tratta da un romanzo riuscitissimo?! Parecchio. Il regista sostiene di aver voluto confezionare una commedia all'inglese. Qualcuno gli legga i suoi diritti, please: "Hai il diritto di rimanere in silenzio, hai diritto ad un avvocato se non potrai permetterlo te ne sarà assegnato uno di ufficio tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te...".

Anna Karenina: voto 6
Deliziosamente realizzata l'idea di ambientare la vicenda del noto romanzo in teatro.
Costumi, scenografie, trucco e parrucco splendidi. Ma c'è un ma, anzi due: 1) Joe Wright, come ti viene in mente di pettinare Vronsky come Gene Wilder in Frankenstein juonior??! 2) Joe Wright, non si imbruttisce così Matthew MacFadyen, colui che fu un Mr. Darcy (sempre in un tuo film, peraltro) da batticuore! 

Gambit: voto 7
Una commedia ben riuscita, con tempi comici scanditi come da un orologio svizzero.
Alla faccia di certe presunte "commedie all'inglese", di cui sopra...

The sessions: voto 7
Diciamocelo: ci vuole coraggio a fare un film come questo. Che riesce a raccontare una storia difficile senza fare scivoloni su facili retoriche o pietismi. Alè!

I recuperati (al Cineforum di Bareggio)Zero Dark Thirty e Il sospetto (a proposito di film coraggiosi). Da vedere: perché le immagini parlano più delle parole, per la narrazione che racconta altro al di là della trama nuda e cruda che vedete. Vero cinema. Amen. 

Marzo
Un giorno devi andare: voto 5
Giorgio Diritti fa fare a Jasmine Trinchera un viaggio spirituale in Amazzonia.
Forse il regista ha voluto strafare, fatto sta che a me è parso ridondante e inconcludente. Giri, giri, giri intorno a un obiettivo... giri, giri, giri, giri... stavamo dicendo??!

Da recuperare: Il lato positivo

Aprile
Nella casa: voto 7
Intrigante questo film di Ozon. Diabolica la trama e ben costruito...
Forse menato un po' troppo per la lunga.

Maggio
Il grande Gatsby: voto 8
Lo hanno praticamente distrutto questo film di Buz Luhrmann. Pensato più per parlare del Cinema che non di un "eroe" letterario. Secondo me. Coerente con se stesso, contemporaneo e giustamente barocco.

A lady in Paris: voto 7
Film delicato, che si muove in punta di piedi, forse troppo. Superba Jean Moreau.

Mi rifaccio vivo: voto 5
Ne avevo rimosso la visione... Non è che sia terribile, ma sembra un prodotto per la tv anziché per il grande schermo. Ecco, in tv avrebbe funzionato meglio.
Da principio (del film) ho pensato: "Refn, sei un satanasso del cinema!".
Poco dopo ho aggiunto: "Refn, che sborone che sei!".
E non ho avuto modo di cambiare idea.

I recuperati (al Cineforum di Bareggio)Tutti pazzi per Rose, titolo infelice per una commedia leggera nel tono, profonda nei significati.

Da recuperare: Miele, La grande bellezza

Giugno
World War Z: voto 7
L'Apocalisse arriva e, anziché dai Cavalieri, giungerà portata gli Zombies. Giocattolone hollywoodiano, a uscirne a pezzi (in tutti i sensi) sono gli esseri umani.
E intanto Brad Pitt si beve una Pepsi.

Doppio Gioco: voto 6
L'inganno suggerito dal titolo è ben architettato da sceneggiatura e regia.
Mio Dio, ma Clive Owen è sempre stato così inespressivo?!

I recuperati (al Cineforum di Bareggio)Into Darkness, moooolto meglio del primo capitolo di questa saga contemporanea di Star Trek. Sorprendente.

Luglio
To the wonder: voto 5
Ci avevo creduto, Malick. Ci avevo sperato, in un altro capolavoro come The tree of life. Sono andata al cinema proprio per rivivere quella sensazione di meraviglia che mi avevi dato.
Avrei dovuto insospettirmi già davanti al nome degli attori. NCS (non ci siamo).

Springsteen & I
Dopo il concerto di San Siro, come non andare a vedere questo documentario sui generis? Emozioni a fior di pelle. Da recuperare in dvd, se amate il Boss.

Agosto
Monsters University: voto 7 e 1/2
L'originale è sempre meglio del prequel o del sequel (in gran parte dei casi almeno).
Non si poteva non vedere, Mike e Sully restano adorabili, quelli della Pixar dei geni e il film è una bella lezione di amcizia e... autostima.

Starbuck: voto 6 e 1/2
Una commedia canadese semplicemente divertente.
Funziona, non è volgare: di questi tempi, ti pare poco? 

Settembre
Rush: voto 9
Uno dei film più belli dell'anno. Storia di opposti, necessari l'uno all'esistenza dell'altro, storia di contrasti, di yin e yang. Dietro questa Formula 1 c'è più filosofia di quanto si pensi.

Un piano perfetto: voto 4 e 1/2
Quel 1/2 è regalato. Banale, mai empatico.
Magra consolazione: è francese, non una boiata delle nostre.

Bling Ring: voto 6
Didascalico. Il racconto visivo della Coppola non aggiunge e non toglie nulla a una storia letta sui giornali. E la cosa non mi sorprende. Vabbè.

Ottobre
Gravity: voto 9
Che gioia un film così. 90 minuti di poesia, di batticuore, di significati che affiorano tra un'immagine e l'altra e per di più che immagini! Adoro.

Anni felici: voto 7 e 1/2
Finalmente un bel film italiano! Empatico, analitico, sincero... A farlo grande sono due personaggi che restano nel cuore, interpretati da due bravissimi attori. Alleluja.

Una piccola impresa meridionale: voto 5 e 1/2
Film riuscito a metà. L'umorismo di Papaleo non fa per tutti, ma stavolta il suo film sembra davvero troppo tirato per le lunghe, per non parlare di quello che a me è sembrato un grosso scivolone sul finale, con un exploit di presunto progressismo.

Giovani ribelli: voto 6
La trama non è male, il ritmo è avvincente, resta un retrogusto poco convincente. E non è colpa di Radcliffe.

La donna che visse due volte
Neanche mi azzardo a dare un voto, qui siamo in una categoria a parte.
Ma che goduria è rivedere al cinema un film così?! Ed è sempre amore.

Il gattopardo
Idem come sopra.

Sole a catinelle: voto 6
Tanto vituperato. A me Zalone fa ridere. Mi stupisce però che molti non si siano accorti che stavolta ha giocato un (bel) po' al ribasso: turpiloquio e sketch trash/sessisti insistiti. Aggiungo: una delle conferenze stampa più fastidiose di sempre. E non per colpa di Luca Medici. 

Da recuperare: La vita di Adèle, Before Midnight

Novembre
Venere in Pelliccia: voto 8
Eccezionale prova di regia, sceneggiatura, interpretazione.
Uno di quei film che ti porti dietro per giorni, settimane, dopo la visione.
Rapporti di potere, rapporti di sesso... Tutto è potere o tutto è sesso? Che lo si chiami in un modo o in un altro, si tratta forse della stessa cosa?

Alla ricerca di Jane: voto 6
Commedia indipendente che sbeffeggia il romanticismo ma anche il cinismo. Possibile? Sì.

Macbeth
Shakespeare interpretato e diretto da Kenneth Branagh, per una sera al cinema. Goduria.

Hunger Games – La ragazza di fuoco: voto 7
La saga soddisfa le aspettative, il capitolo II tiene il ritmo, la suspense e il livello qualitativo dell'esordio. Resta la proiezione stampa più assurdamente blindata di tutti i tempi. Esagerati!

Dicembre
Blue Jasmine: voto 9
Ragazzi, che cinema! CheWoody!

Dietro i candelabri: voto 7
Commedia di Soderbergh pensata come mini serie tv USA. Strepitoso Douglas!

Philomena: voto 9
Un film che scalda il cuore. Cinismo vs Onestà dei sentimenti. Rabbia vs Perdono.
Un grandissimo personaggio femminile in una sceneggiatura leggera ed elegante. Emozione e sì, anche divertimento.
Judi Dench, perché non sei... chessò, almeno mia zia?!

I sogni segreti di Walter Mitty: voto 7
Sì, sono buona, finisco l'anno così: perché Walter Mitty soffre di inutili e sprecatissimi siparietti fastidiosamente (non)comici, ma bastano tre scene toppate per stroncare un film intero? Perdono volentieri Ben Stiller, per le emozioni e la genuinità che riesce a trasmettere. E, naturalmente, per le splendide immagini concesse.

To see the world, things dangerous to come to, 
to see behind walls, to draw closer, 
to find each other, and to feel. 
That is the purpose of life

domenica 12 gennaio 2014

Quel che è letto è letto / Libri 2013

L'anno è cominciato bene, per subire poi una battuta d'arresto sul finale... Letto poco, pochissimo, ma bene. Buoni titoli, fresche scoperte e gradite conferme. Si parte con un classico mai letto prima, Colazione da Tiffany. Vi interesserà forse sapere che si legge riuscendo benissimo a mettere da parte il film. Anzi, francamente, una volta letto mi chiedo che ci azzecchi Holly Golightly con l'immagine pur iconica di Audrey Hepburn. Il personaggio è indimenticabile, entra nel cuore e ci danza con malinconica leggerezza. A seguire: Philip Roth e il suo Nemesi: danni, beffe e tragedie dell'umano vivere. È Roth, insomma. Amaro, diretto, grande. A febbraio è la volta di Miele, di cui già scrissi a tempo debito...

Una piccola pigna di carta per grandi incontri e sogni a occhi aperti
Marzo: complice il bicentenario della sua pubblicazione, riprendo in mano Orgoglio e Pregiudizio. Rileggerlo a parecchi anni di distanza dalla prima volta è piacevole al quadrato. Peccato che finita la lettura venga colta da irrimediabile nostalgia per le pagine che furono. Sicché il libro ha campeggiato sul mio comodino per settimane, ogni tanto lo sfogliavo per soffermarmi a caso su capitoli e paragrafi, guardo e riguardo Orgoglio e Pregiudizio di Joe Wright (meditando un viaggio nelle verdi campagne inglesi) appena ho un attimo di tempo. Mi capitò una cosa del genere solo alle scuole medie, quando appena tornavo da scuola mettevo su la videocassetta di Chi ha incastrato Roger Rabbit?. Che dire? Il tempo passa, certe manie no. Mi resta addosso la Austen Mania, anche adesso, per dire.

La banconota celebrativa dei 200 anni di Orgoglio e Pregiudizio

Ad aprile leggo per motivi di lavoro, poco per iniziativa personale. Maggio mi chiede di tornare ad ascoltare i racconti di Oliver Sacks: Un antropologo su Marte. Si rivela essere un'esperienza ricca di incontri con personaggi splendidi e con una materia pazzesca come la neurologia... Si dovrebbe forse leggere un'opera di Shakespeare all'anno ma anche una di Oliver Sacks, per capire qualcosa del mistero umano? L'anno letterario ha però un momento cruciale che è la lettura di Storia di un corpo di Daniel Pennac (autore che in genere non amo affatto). Un libro che ho regalato o suggerito appena ne ho avuto l'occasione. L'idea di base è forte, la realizzazione perfetta. Sarà che mai come nel 2013 il mio di corpo mi ha parlato molto più che negli ultimi dieci anni (e in effetti io ho iniziato ad ascoltarlo come mai prima). Non so, il fatto è che questo romanzo mi ha tenuto compagnia come un amico, con i suoi racconti che ho trovato struggenti. Aggettivo che è il caso di usare anche per Fai bei sogni. Evidentemente mi sono data ai best-seller e, se il risultato è questo, ne valeva la pena. Dico subito che lo stile di Gramellini non mi ha conquistato del tutto, a volte troppo paraculo, a volte troppo elementare, eppure avevo bisogno esattamente di questo quando l'ho letto. Di qualcuno che mi dicesse, con estrema chiarezza e spudoratezza, frasi sincere dal significato profondo, del tipo: "Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro a una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e l'assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione". Hai detto niente.

Tanto per passare da un estremo all'altro, in estate leggo Vergogna, di J.M. Coetzee. Ho avuto il coraggio di portarmelo in spiaggia. E di divorarlo. E dopo di me, mio marito. Che durezza, che asperità, che... botta! Non dico altro, se non che merita, stramerita. Non l'avrei letto se non fossi stata incuriosita da una nota recensione che ne fece Baricco, che leggete qua, la quale del resto dice solo un pezzetto del romanzo. Poi è stata la volta di tutt'altro ancora: Mangia Prega Ama. Premessa: vidi il film e ne rimasi orripilata. La lettura del romanzo invece è stata una sorpresa e un dono. Evidentemente certi libri (come quello di Gramellini, per dire) si apprezzano solo se letti in certi momenti delicati della propria vita. Quando abbiamo il cuore e l'animo aperto per accoglierli. Io, quest'anno, ho messo da parte la spocchia, il cinismo (di cui francamente mi sono rotta), e mi sono detta: perché non ripartire dal gusto elementare delle cose? Perché non concentrarsi sull'essenza di una parola semplice, di un sapore, di un'esperienza "banale", viverla pienamente e vedere che succede? Rallentare, magari fermarsi e ripartire con un passo differente... Il libro della Gilbert in questo senso è stato provvidenziale.

Ho chiuso l'anno con Diario d'inverno di Paul Auster. Non sempre è andato giù come un bicchiere d'acqua, ma l'ho amato. E in lui ho trovato un amico segreto, con cui condividere qualche brutta esperienza comune e da cui stare ad ascoltare storie assurde, che a me non capiterebbero in un milione di vite. Del resto, non è anche questo che ci si aspetta da un amico?

sabato 11 gennaio 2014

2013. Un anno che non si farà dimenticare

Il 2013 è scivolato via, mi è scivolato via come un sasso piccolo e pesantissimo tra le mani. Ha chiuso la porta e mi ha lasciato qui con un'espressione incerta, quella di chi si sente un po' preso per il culo. Bilanci? Stavolta non ne ho voluto sapere: ho rifuggito le liste di quel che ha funzionato e quello che no, liste scritte o recitate ad alta voce. Una cosa da dire però c'è. Il 2013 non verrà archiviato così, banalmente, come un anno senza infamia e senza lode: è stato l'anno del terremoto che arriva, squassa, passa, lascia tutto com'è, almeno dal di fuori, ma ha mandato all'aria tutto.
L'anno del corpo che parla con prepotenza. L'anno in cui polmoni, cuore, cervello e la carne tutta decidono che sono stufi di stare zitti in un angolo e che ora tocca a loro esprimere il disagio, la paura, la stanchezza, buttare fuori l'esigenza vitale di aria, di luce, di spazio.

Chiaro esempio di metamorfosi

"Il panico altro non è che un'espressione di fuga mentale, la forza autonoma che cresce dentro di te quando sei in trappola, quando la verità è troppo pesante da reggere, quando l'ingiustizia di questa inevitabile verità non può essere affrontata e dunque l'unica possibile reazione è fuggire, chiudere la mente trasformandoti in un corpo ansante, convulso, in delirio (...)". 
Diario d'inverno, Paul Auster

Avevo una mia verità troppo grande da reggere? Assì? Sì.
Qual era questa mia verità troppo grande da reggere? Perché non ho saputo reggerla? Perché ho paura? Da cosa, da chi, sono scappata finora? Che cosa voglio? Chi ho fatto finta di essere? Che cosa sono realmente? Bum. Sono andata a pezzettini e piano piano li sto rimettendo insieme. Non necessariamente ognuno dovrà tornare al posto che occupava prima. Anzi.


" (...) perché il tuo corpo ha sempre saputo quello che la tua mente non sa, e benché scelga di cedere, sia per mononucleosi o per gastrite o per attacchi di panico, il tuo corpo ha sempre sostenuto gran parte delle tue paure e delle tue battaglie interiori, incassando i colpi a tua la tua mente non vuole o non può reggere". 
Diario d'inverno, Paul Auster


Odio il 2013 per tutto quello che mi ha fatto passare. Un pezzetto di me è grato al 2013 per tutto quello che mi ha fatto passare: mettermi profondamente in discussione, guardare in faccia la paura, risentirla, riviverla. Cadere disastrosamente, rialzarsi. Non c'è un modo soft di passare attraverso il dolore e non c'è un modo di evitare il dolore. Siamo uomini, cresciamo, evolviamo e per farlo passiamo attraverso stadi che ci obbligano ad attaccarci (ad aggrapparci) a identità, certezze e abitudini in cui ci avvolgiamo come in un bozzolo. Ci leghiamo, ma arriva il giorno in cui devi tagliare, recidere o semplicemente lasciar andare. Per esplorare altri territori, per diventare le farfalle che non sapevamo di essere ma che, diamine, abbiamo sempre voluto essere. Per quanto faccia male, aggrappati e poi lascia andare.

Gravity, o "Del lasciar andare"