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L'indolente Servillo in una scena de "La Grande Bellezza" |
Sono andata a vedere
La Grande Bellezza non molto tempo fa. Dopo i Golden Globes e in vista degli Oscar se n'è fatto un gran parlare e volevo entrare anche io nella discussione. Sono andata al cinema non senza scetticismi: a volte ci facciamo condizionare talmente dai media da formulare un giudizio su qualcosa che nemmeno conosciamo. E questo era il caso mio e de
La Grande Bellezza. A sentirne parlare (in tv soprattutto) pensavo di andare a vedere un film che raccontava dei piaceri dell'attuale dolce vita romana, coatta, ignorante, un po' squallida. Non avevo capito niente, del resto come potevo, se non avevo visto
La Grande Bellezza?
Tralasciando numerosi dettagli (la sala in cui l'ho visto, le persone che mi hanno accompagnato e con cui ho discusso, il fatto che, scena dopo scena, si sgretolassero i pregiudizi), direi che Sorrentino mi ha conquistata. Qualcuno si indignerà a riguardo, ma mi sono trovata a pensare che - alleluja - nel cinema italiano qualcuno avesse avuto la sfacciataggine di seguire i passi di Fellini anziché quelli della Commedia-all'-Italiana, della quale non passa giorno senza che qualche regista non se ne autoproclami come degno erede. Di Fellini, ne
La Grande Bellezza, ho ritrovato un po' di
Otto 1/2 (opera unica e irripetibile), la leggerezza, la nostalgia, ho captato alcuni richiami, ecco. E mi dispiace se, parlando della notte degli Oscar in corso, la tv (tanto per cambiare) abbia sottolineato che l'Italia manca l'Academy Award per il miglior film straniero da 15 anni, riferendosi a
La vita è bella, anziché ricordare che 50 anni fa
Otto 1/2 si aggiudicava proprio quel premio. L'accostamento 1964 - 2014 mi pareva più azzeccato, tutto qui (e magari di buon auspicio, e adesso chi vuole faccia pure gli scongiuri, per Sorrentino).
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Romana flânerie |
Detto ciò,
La Grande Bellezza mi è sembrata molto più disincantata e disillusa del capolavoro di Fellini. Disilluso è il suo protagonista: Jep è un
flâneur, passeggia per Roma, la contempla dai terrazzi, per le strade, è un flâneur rispetto alla città e ai suoi abitanti. Intorno a lui si dibatte una varia e vasta umanità: sceneggiatori in crisi, artisti o sedicenti tali, intellettuali incazzose "dure e pure", omuncoli, delinquenti col completo sartoriale che tirano le fila del Paese... ce n'è di ogni. E la città, con la sua storia, le sue rovine, i suoi monumenti, sta lì come a dire: che vi dibattete a fare poi... tutto questo passerà, credete di essere i primi e gli unici a vivere in questo mondo, ma passerete anche voi, e tutto è stato detto, tutto è stato fatto, tutto è stato scritto. Rilassatevi, godetevela. E un po' è questo lo sguardo di Jep: indolente, benché desideroso di provare ancora una volta il piacere dello stupore, quello che ti assale quando vedi/provi/fai qualcosa di eccezionale per la prima volta. Ma la nostra vita quante prime volte ci può dare?
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La locandina tedesca del film |
Oltre le allegre baracconate, le messe in scena, le parole che riempiono le bocche, i bla-bla-bla futili e tronfi, tutto scorre come l'
acqua delle fontane di Roma, come il fiume, come i ricordi delle stagioni passate, come l'emozione di ogni nostra prima volta.
Se dovessi sintetizzare quello che
La Grande Bellezza è stata per me, userei queste parole: niente ai mortali dura, né la notte stellata, né la tragedia, non resta forse che l'esperienza estetica. E allora lasciamoci trasportare dalla musica e dalle immagini dei titoli di coda, e guardiamo ancora una volta Roma, con gli occhi di Jep, lasciandoci portare con lui -
come lui - dalle acque del Tevere, nell'ora del tramonto, finché la luce ce lo consentirà.
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