martedì 26 febbraio 2013

Non avevo capito niente

Oltre all'esistenza e all'oblio, c'è un terzo luogo dove stare.

E' stata una giornata da dimenticare e per affari personali e per affari strapubblici. I fatti privati possono restare tali per oggi, quelli noti fanno capo a parole ed eventi quali "elezioni" e "instabilità". E non voglio aggiungere altro. Per questo, dopo aver fatto il pieno, indovinando un principio di ulcera o di esaurimento psico-fisico, mi sono seduta sul divano, ho premuto il tasto mute del telecomando e ho preso in mano un romanzo che - francamente - pensavo di finire prima, Miele di Ian McEwan.

Miele, di Ian McEwan


All'inizio di febbraio iniziavo a leggerlo, galvanizzata dalle critiche positive che leggevo sui giornali. Ho fatto una fatica del diavolo per arrivare a pagina 100, pensando che lì sarebbe arrivata la svolta. E invece niente. Arrivo alla 200, e niente. Per di più inizio a intuire i colpi di scena che McEwan avrebbe poi sfoderato. O così credevo, insomma: arrivo a stasera, 21 capitoli alle spalle su 22. Il mio giudizio era ancora stabile (sì, ok, bello ma... overrated, punto) e poi, bum. Ultime venti pagine piene di senso. Meglio: danno un senso al romanzo, poi lo smontano, poi lo rimontano. Pazzesco, geniale. Non so se stia spoilerando o meno, ma il fatto è che l'autore prende tutti i personaggi del suo libro e li smaschera come imbroglioni e imbrogliati, salvo poi salvarli in zona Cesarini. Nel corso dell'intreccio, il caso se li è mangiati, e la loro stessa volontà li ha giocati. Ne esce un solo vincitore. Che a prima vista è Lo Scrittore (diciamo piuttosto La Scrittura, o La Narrazione), perché il Lettore viene turlupinato per tutta la durata del romanzo tanto quanto la sua protagonista, Serena Frome. A ben guardare, però, non è neanche così. Miele mi sembra una doversa, splendida lode al Patto tra Scrittore e Lettore che rende possibile il potere della Narrativa.

Dalla lettura di Miele deduco o ricevo conferma su un paio di cose:

  1. solo la fine dà un senso al pregresso.
    Ciò mi solleva e mi tramortisce: perché ogni scelta che prendiamo o la sorte dove scivoliamo, niente ha un senso in sé e per sé, so... take it easy! ma allora non sappiamo nemmeno quanto amara sarà la sorte o sbagliato il nostro giudizio, se è vero che non siamo noi a stabilire o conoscere come, quando e dove andremo a finire;
  2. tra la durezza del mondo reale e la leggerezza di cui la Letteratura è capace, ho sempre preferito quest'ultima. Sono condananta all'irrealtà? La Letteratura è una fuga, anziché una soluzione? La frase che trovate in cima a questo post mi ha illuso che ci fosse una terza via. Sicché vado a riprenderla a pagina 334. E salta fuori che l'ho letta male io, inconsciamente male, tragicamente male. La frase esatta dice così:

Oltre all'esistenza e all'oblio, tuttavia, non c'è un terzo luogo dove stare.
 
Ian McEwan. Colui che mi ha fregata, deliziandomi

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