Sono stata a vedere
Romanzo di una strage, un film della cui esistenza sono grata. Francamente non è un capolavoro: lo trovo documentaristico – non che sia un male- e un po' didascalico, però è un film di cui si sentiva la mancanza. Un regista non può e non deve sostituirsi allo storico (a dispetto dell'opinione di molti giornalisti), ma il cinema e le arti tutte possono sfondare delle porte chiuse e invitare al confronto scongiurando la paura, abbattendo timori reverenziali o cautele meschine. Guardando
Romanzo di una strage mi è venuta voglia di leggere interviste e romanzi inchiesta sull'argomento, di documentarmi di più: in tal senso mi viene incontro la newsletter di Fnac che strilla
Speciale Italia criminale, dalla Strage di Piazza Fontana a Felice Maniero!. Ora: c’era proprio bisogno di quel punto esclamativo, per la miseria?! Un caso di marketing che si mangia la dignità delle vittime, proprio al contrario di quello che succede con il film di Marco Tullio Giordana. Qualcosa vorrà dire se Riccardo Tozzi, produttore con la sua Cattleya di
Romanzo di una strage, dice che "stavolta non c'è l’attesa spasmodica dell'incasso, l'esigenza è piuttosto quella di creare un'apertura umana e storica per capire gli eventi e i personaggi che ne sono stati protagonisti. Si tratta di regolare un conto con se stessi, con la propria generazione, per lasciare qualcosa alle nuove".
|
Il buco nella Banca Nazionale dell'Agricoltura
nel film "Romanzo di una strage" |
Piazza Fontana per me è innanzitutto il ricordo delle scuole superiori. Io sono del 1980: ogni anno all'Istituto Magistrale di Rho il 12 dicembre era giornata "sacra". Compiti in classe, interrogazioni, gite? Ennò, il 12 c'è la manifestazione di Piazza Fontana. Che poi, a onor del vero, mica tutti gli anni ci andavamo davvero, io e i miei compagni: ne approfittavamo per fare altro e godere di un giorno di libertà. Strana concezione di libertà: oggi mi vergogno un po’ di quelle bigiate travestite da impegno politico. Doppiamente, triplamente mi vergogno. Perché oggi, proprio oggi, alla conferenza stampa di
Romanzo di una strage c'era il figlio di una delle vittime di Piazza Fontana e prima delle bagarre politiche, prima delle esigenze di Verità, prima di tutto ci sono loro: le vittime. Mi sembra di averne tradito il ricordo e per pigrizia e per ignoranza. Perché che ne sapevo io, quindicenne, sedicenne, di cosa voleva dire "Piazza Fontana"? Quanto ho cercato di capire allora, quando si andava in manifestazione?
|
La targa con i nomi delle vittime del 12 dicembre 1969 |
Oggi, proprio oggi, cerco un po’ di recuperare e dopo la conferenza stampa in Terrazza Martini decido, pur di fretta come sono sempre, di passare da lì, di fermarmi davanti all'ingresso della Banca Nazionale dell'Agricoltura, di leggere i nomi incisi sulla lapide in memoria delle 17 vittime. Al di là del piazzale ci sono altre due targhe, dedicate alla 18ma vittima: Giuseppe Pinelli. Una targa lo ricorda come "ferroviere anarchico ucciso innocente nei locali della Questura di Milano il 16.12.69" ed è stata voluta da "Studenti e Democratici di Milano"; l'altra, affissa dal Comune, lo commemora come "innocente morto tragicamente nei locali della Questura di Milano il 16.12.69". Una differenza che dichiara quanta strada ci sia ancora da fare per raggiungere la Verità.
|
In memoria di Giuseppe Pinelli/1 |
Quante volte sarò passata da Piazza Fontana per andare in università? Quante volte avrò attraversato via Larga, senza onorare la memoria di
Antonio Annarumma? Oggi penso alle parole del mio professore di filosofia: "Le Brigate Rosse poi tanto rosse non erano", penso alla mia professoressa di italiano che raccontava del suo fidanzato ferito da un colpo di pistola in una manifestazione. Gli anni Settanta, la strage del 12 dicembre, Pinelli, Calabresi, Aldo Moro, quella
foto del ragazzo che impugna una pistola in via De Amicis (quante volte sarò passata da via De Amicis?) si succedono nella mia testa e come faccio a non pensare a
via Cherubini, le volte che ci sono stata, là dove hanno sparato al Commissario Luigi Calabresi? Quante volte l’avrò percorsa senza sapere?
|
In memoria di Giuseppe Pinelli/2 |
Oggi Milano mi sembra un’enorme mappa di eventi non solo tragici, ma odiosi perché senza traccia di Verità. Una rete di vie che pullula di frenesia, senza elementi che inducano a credere che quel passato sia stato metabolizzato, sviscerato, digerito. La vita va avanti ed è sacrosanto, ma possibile che debba andare avanti come un caterpillar? Mentre Milano si fa
alveare per ospitare i traffici illeciti della malavita, mentre si scavano cantieri e si inaugurano palazzi che restano vuoti, mentre si specula, mentre si affaccia l'Expo, mentre Milano è la Milano del presente e ognuno corre incontro al suo destino, io, Signori, vorrei la Verità, vorrei una versione chiara da far stampare sui libri di storia. Che se non deve esserci un giustizia giusta, che ci sia almeno quella auspicata da
Licia Pinelli: "Non parlo della giustizia dei tribunali, ormai. Per me, giustizia è la consapevolezza degli uomini di che cosa è accaduto. Che si sappia chi ha ucciso Pino. Chi ha ucciso Pino ne sia riconosciuto responsabile. Chi sa, trovi il coraggio di dire la verità: è la sola strada verso una pacificazione che sappia liberarci del passato".